PESO, MASSA E POESIA NELLA FISICA CLASSICA di Fabrizio Bregoli

Una delle prime nozioni che si apprendono dai corsi di fisica, fin dalle scuole secondarie, è la differenza fra massa e peso. Rimanendo nell’ambito della fisica classica, la massa è una misura della quantità di materia di un corpo e come tale un’invariante, mentre il peso è una forza e misura la forza che viene esercitata su questa massa in un campo gravitazionale (attiene quindi al concetto di gravità). La massa si misura nel sistema internazionale (MKS) in Kilogrammi (massa), mentre il peso in Newton (unità di misura della forza): a imbrogliare la matassa, il che porta spesso nella vita quotidiana a far coincidere e a equivocare massa con peso, è il fatto che il peso può essere misurato anche in Kilogrammi (peso) che sono l’equivalente in peso di una massa di 1 Kilogrammo (massa) soggetta alla tipica gravità terreste (1 Kilogrammo peso equivale quindi a circa 9,81 Newton).

Il peso dipende quindi dal campo gravitazionale a cui è soggetta la massa e quindi è tanto maggiore quanto più è grande la massa che origina quel campo gravitazionale: per questo motivo il peso sulla Terra è circa sei volte maggiore di quello sulla Luna, e circa due volte e mezzo inferiore di quello su Giove. Quindi fare un passo su Giove comporta uno sforzo molto maggiore che sulla Terra, come se sollevassimo scarpe di piombo, mentre sulla Luna un passo diventa agevolmente un balzo: ricordate le immagini degli astronauti? La massa sulla Terra, sulla Luna, su Giove, perfino nel vuoto, resta invece sempre la stessa; in assenza invece di campo gravitazionale non si dà peso.

Leggendo il titolo dell’articolo molti si diranno: ma che cosa c’entra tutto questo con la poesia? O con la letteratura in genere?

Pensiamo che sia possibile istituire delle importanti relazioni fra la parola e i concetti di massa e di peso. Data una lingua di riferimento (che assimiliamo a un possibile sistema di misura), come ben sappiamo, questa associa, in maniera idealmente univoca, ma non necessariamente non equivoca, a ogni oggetto una parola che lo rappresenta, un segno. Pensiamo a una foglia: essa diventerà, a seconda della lingua, “foglia”, “feuille”, “leaf”, “葉”. Possiamo immaginare che questo segno, questa parola, rappresenti idealmente una massa: è un’invariante nella lingua in esame perché non cambia mai nella sua quantità di lettere, sillabe, suoni affinché possa descrivere in maniera precisa l’oggetto. La parola senza una lingua a cui appartiene è un segno isolato, una massa pura, senza peso. Non prende peso e quindi non esprime relazioni. È la lingua a attribuire il peso.

Molto diverso è infatti il valore che un segno o una parola assumono nella lingua, sia essa parlata o scritta. Se nella lingua parlata si può influire su aspetti come l’intonazione, la cadenza, la modulazione del suono, il tono della voce, l’associazione con il linguaggio non verbale, nella lingua scritta altre possono essere le logiche che attengono alla combinazione, all’ordine, all’associazione delle parole (quindi delle masse) fra di loro. Combinare masse fra di loro in modo diverso significa generare campi gravitazionali nuovi, conferire un “peso” diverso alle parole. E uno dei problemi più brucianti della nostra contemporaneità è proprio quello di restituire il giusto “peso” alle parole, non dimenticando che è il loro impiego in primis (e quindi il rispetto che a loro si deve) a conferirglielo.

Attingendo alla Enciclopedia Treccani on-line si vede impiegata la parola foglia in questo periodo: “Morfologicamente, la foglia è formata da una base per mezzo della quale s’inserisce nel caule, da un picciòlo (se questo manca la foglia si dice sessile) e dalla lamina”. In questa prosa, che in sostanza è una definizione tecnica, si ha la percezione che la parola “foglia” sia usata in una modalità molto convenzionale o istituzionale: importa più la massa che non il peso; il campo gravitazionale che pure esiste (potrebbe essere quello del linguaggio tecnico-scientifico) non altera sostanzialmente il gioco delle forze in atto e quindi la parola “foglia” non emerge con un peso rilevante, forse ha una minima preminenza solo per il fatto di essere il soggetto della frase. Molto diverso è il peso che la parola “foglie” assume nella celeberrima poesia “Soldati” di Giuseppe Ungaretti

 

Si sta come

d’autunno

sugli alberi

le foglie.

 

In questo caso il confinamento della parola “foglie” in un singolo verso brevissimo che è anche quello finale della poesia genera un effetto forte che ci fa percepire quella parola come cruciale; il gioco delle forze è stato alterato come se ci trovassimo in un fortissimo campo gravitazionale che ha conferito alla massa “foglie” un peso titanico. Potremmo dire che, se nel primo caso si camminava sulla Luna, ora sembra di camminare su una stella di neutroni, in cui la massa per unità di volume è altissima. La poesia (ma la letteratura in genere) ha proprio questa capacità: alterare gli equilibri di gravità e, in questo modo, creare nuove relazioni, nuovi significati, pur partendo da un insieme di partenza (le parole di una lingua) che è sempre il medesimo.

E diverso è l’esito in poesie diverse. Analizziamo, ad esempio, “Chanson d’automne” di Verlaine dove si usa sempre la parola “feuille”. Come dicevamo prima qui non cambia la massa in sé ma il sistema di misura, cambia la lingua. I suoni della lingua francese hanno una leggerezza più marcata rispetto alla lingua italiana e questo già scombina le regole del gioco. Entrando nella specificità dei versi, dice Verlaine nell’ultima strofa:

 

Et je m’en vais

Au vent mauvais

Qui m’emporte

Deçà, delà,

Pareil à la

Feuille morte.

 

Crediamo sia evidente a tutti come è ben diversa la percezione avvertita rispetto ai versi di Ungaretti. Il tema è sempre quello della precarietà delle esistenze, ma il ricorso alla rima, agli effetti musicali e sonori, stempera il peso della parola “feuille” e si ha la sensazione di una gravità più leggera, che a stento permette di trattenere i piedi a Terra, tanto che basta il vento, per quanto malvagio, a smuovere la parola: siamo passati d Giove all’asteroide B-612 del piccolo Principe. La foglia-macigno di Ungaretti diventa qui la foglia-piuma di Verlaine (intese nella accezione del loro peso).

La rima è uno strumento potentissimo in poesia e sconvolge l’assetto gravitazionale. Nella rima le parole, richiamandosi fra di loro, istituiscono forti relazioni di comunanza e associazione. Pensiamo agli effetti diversi della rima sulla parola “foglie”, rispetto a queste rime: “foglie / doglie”, “foglie / voglie”, “foglie / millefoglie”. È chiaro come la massa “foglie” sia stata visibilmente modificata nel suo peso e come certe associazioni facciano pensare a generi radicalmente diversi: nei tre casi citati potrebbero essere rispettivamente un’elegia secentesca, una poesia erotica o giocosa, una parodia o un calembour o una poesia sperimentale. Allo stesso modo le figure retoriche agendo profondamente sul contesto e sull’uso della parola la portano all’influenza di centri d’attrazione diversi, a combinazioni di campi gravitazionali, per loro natura vettoriali, la cui risultante è l’assegnazione di un peso che non è mai identico a sé stesso.

Il compito della letteratura è proprio istituire questi campi gravitazionali capaci di dare nuova linfa alla parola, ricombinare le masse in sistemi di forze inediti e inattesi.

In queste considerazioni ci siamo limitati a una concezione classica dei concetti di massa e di peso. Come potrebbe cambiare tutto ciò in accezione relativistica, con la curvatura spazio-temporale, con la massa che si può convertire in energia, negli equilibri del mondo microscopico?

“A questo problema tanto pungente” serve dedicare uno spazio a sé, quindi ci toccherà, “come dice il poeta Nanni Balestrini,” affidarci al suggerimento “«di questo, altra volta».” (Giampiero Neri, Da “Una storia naturale” – Il ragazzo innocuo, Milano, 2015).

 

Fabrizio Bregoli

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