DIVERSAMENTE VIVO, lettere dal nulla del 41 bis di Anna Maria Farabbi

(immagine tratta da wikipedia, pubblico dominio)

Apro con la “Pubblica Fusta”: un naviglio ancorato nel Bacino di San Marco, a Venezia. Nel 1797, caduta la Repubblica, un governo democratico-assembleare pose fine all’utilizzo della «fusta» veneziana e decretò di ricoverare i folli poveri, a spese dell’erario, a San Servolo.

Prima, “la Fusta” fu una bireme leggera, poi nave scuola per i condannati al remo, infine battello ormeggiato davanti a Palazzo Ducale, poi diventò il luogo di atroce segregazione dove stavano ammassati oltre un centinaio tra condannati, ammalati e pazzi poveri.  In questa nave della colpa, della malattia e della follia, venivano punite persone, estraniandole dalla società, in uno spazio esiliato, sospeso da terra, su acqua priva di navigazione. Spesso fino alla morte.  

Non possiamo pensare alla problematica delle carceri, della sofferenza psichica, delle varie disabilità e degli infiniti altri esili imposti dal sistema  produttivo della comunità, senza avere una visione culturale in grado di  individuare le carie e le dinamiche degenerative. 

Il pensiero di Aldo Capitini, ma anche di Michel Foucault e di molti altri e di altre, poco ascoltato, poco diffuso e niente praticato, toglie di mezzo il senso irriducibilmente discriminatorio dell’esilio e della colpa. Annienta radicalmente l’esilio e la colpa. Al tempo stesso, con una tensione propositiva e congiuntiva lavora in continuità ogni tessitura relazionale agendo nella complementarità e nella solidarietà. Inoltre, concepisce una formazione permanente individuale e corale che nutre e  significa il senso di responsabilità, di una propria autocritica e critica mai scadente in polemica, di una disubbidienza civile motivata, elaborata e disposta al confronto.

In questa premessa, segnalo il libro di Davide Emmanuello e Pino Roveredo, Diversamente vivo, Lettere dal nulla del 41 bis a cura di Francesca de Carolis con prefazione di Giuliano Dominici  per libriliberi, uscito nel 2019. 

Il nome e il lavoro di Francesca de Carolis è garanzia di qualità e etica.  La  riflessione a cui ci chiama ancora una volta è nel ripensare il sistema carcerario affrontando la sua nefasta origine culturale, guardando con attenzione un popolo di esiliati definiti dal 41 bis, confitti nel chiodo infinito e irreversibile della pena.

Nell’opera affluiscono le lettere di Davide Emmanuello al fratello e i contributi dello scrittore  Pino Roveredo. Davide Emmanuello   è da venti anni in carcere, quindici dei quali passati  al 41 bis. Per tre volte il 41 bis gli è stato revocato e per tre volte ristabilito. 

Cito due note esplicative sul 41 bis, giustamente riportate nel glossario all’interno del libro: 

Regime carcerario detto comunemente carcere duro. Introdotto nel 1992, come disposizione temporanea e eccezionale da una legislazione d’emergenza adottata per rispondere all’attacco della mafia al cuore dello stato (le stragi di Capaci e Via D’Amelio). Viene prorogato ripetutamente fino al 2002 finché non viene definitivamente inserito nell’Ordinamento Penitenziario. Prevede la possibilità per il Ministro di Giustizia di sospendere l’applicazione delle normali regole di trattamento nei confronti di taluni detenuti reclusi per reati di criminalità organizzata, terrorismo, eversione, ecc. E’ finalizzato a impedire i contatti tra il detenuto e i propri sodali, sia all’interno che all’esterno del carcere. Così da inibire e ostacolare a trasmissione di ordini e informazioni, da parte del detenuto alla consorteria di appartenenza. Adottato con decreto motivato ha la durata di quattro anni, prorogabile.”  

Il sistema cubico e claustrofobico del carcere recinge la persona e il suo errore, punendola e qualificandola nemica della società. Louise Michel riteneva che la società/comunità ha necessità di difendersi dal criminale ma non di vendicarsi.

Davide Emmanuello risponde con penna dura e consapevole al Potere, all’Architetto, al legislatore, al sistema intero. Cito da pag. 23: 

…perché l’atavismo morale del potere tratta le ragioni del cuore umano con la crudeltà di chi ha coscienza di poter agire meschinamente e con ferocia contro l’umile, il povero, il vecchio, il bambino. “ 

Da pag.46: Sono contenti quanti mi uccidono ogni giorno e io risorgo ogni giorno. 

Da pag.88 Penso che il 41 bis sia il patto che la giustizia ha stretto con la vendetta.

In risposta alle disposizioni che di fatto isolano il detenuto del 41 bis, Emmanuello ci porge interrogativi a pag.61:

Libri, giornali, informazioni, notizie… Ma cosa se ne fa un detenuto sottoposto al regime del 41 bis di tutto questo carico di conoscenza? Possibile che il detenuto sottoposto al regime del 41 bis, non abbia ancora compreso che deve scontare la sua condanna nel niente più assoluto? E poi, a cosa serve, a un detenuto sottoposto al regime del 41 bis, sapere della crisi di Governo, l’andamento dei titoli in Borsa, gli sbarchi dei clandestini, la fame in Africa, il terremoto in Umbria, i tassi della BCE, lo Sprea, la Flat tax, la Brexit, il Jobs act, le ruberie del ministro, il divorzio della cantante, lo scudetto della Juventus…? …

In questo nulla in cui la persona carcerata gravita, i pochissimi fatti sostanziali della giornata sono il quotidiano accadere delle cose, come per esempio la drammatica distribuzione della tazza di latte la mattina.

Riportare l’articolo 15 della Costituzione, così come fa Emmanuello, la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità  giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge. è rimettere a fuoco davanti a noi, a tutti, ciò che profondamente è inviolabile. 

Un suo passo mi riguarda direttamente. Leggo a voce alta l’inchiostro di pag. 37: 

Sembrerebbe che ho in animo il voler fare la letteratura, se non fosse esperienza vissuta nella realtà presente, e che vive come memoria… Altro che l’ego narrante che scrive in terza persona.

L’invito a un’esposizione personale che eviti l’edulcorazione straniante della retorica letteraria è utile a me, così come è utile a chi lavora la parola scritta.  

 

Vorrei leggere testi di detenuti e detenute che, oltre all’esposizione della denuncia, allo scoperchiamento del proprio abbrutimento sofferto e imposto, partano dal proprio io mettendosi in discussione nel loro percorso esistenziale e sociale. Vorrei proposte dall’interno del carcere stesso, da detenuti o operatori, di qualunque ruolo siano, proprio per cercare di costruire una possibilità altra oltre l’immobile e mortifero esilio della condanna.  Casamatta ospita.

Anna Maria Farabbi

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