POSTILLA SULLE BADANTI di Milena Nicolini

immagine di Alessandra Gasparini

Se già il quadro della situazione delle ‘badanti’ era, più che complesso, caotico e contraddittorio, ora dopo due lockdown e a pandemia non ancora debellata, risulta ancora più complicato, con nuovi fattori che proiettano divergenti possibilità future. Per di più, chi scrive non è certo un esperto di questioni socioeconomiche, né è capace di sviluppare i tanti dati e riflessioni che vari ricercatori presentano in molteplici pubblicazioni. Perciò solo alcune considerazioni a pelle, dettate da osservazioni particolari dirette o da elementi che, più di altri, sono rimasti evidenziati in memoria dalla gran mole di informazioni.

Gli anziani che non erano più del tutto o in parte autosufficienti, per motivi di disabilità sia fisica che psichica, si potevano supporre realisticamente, secondo dati dell’inizio del 2020, più di due milioni e mezzo.

Le persone impiegate regolarmente a vario titolo come assistenti-aiutanti famigliari erano circa un terzo, di cui oltre il 90% donne. Si presupponeva realisticamente una fetta di lavoranti in nero pari al 60% del totale. Poi la furia della pandemia ha modificato drasticamente la situazione. Molti dei deceduti per covid19 erano anziani, molti familiari di anziani sono rimasti senza lavoro o in situazioni di sospensione per cui hanno scelto di occuparsi personalmente dei loro cari o di cominciare una nuova esperienza di lavoro nell’ambito dell’assistenza familiare, determinando un gran numero di ‘disoccupati’ tra i lavoratori della cura che venivano dall’estero e che, in gran numero, anche per le alterne vicende di chiusure-aperture-chiusure dei confini, sono rimpatriati. Per di più sono in modificazione i flussi migratori: stanno divenendo poli di importante attrazione paesi come la Cina, la Russia, il Sudafrica, l’Australia, le nazioni del Golfo Persico e in generale dell’Asia, mentre diminuisce l’immigrazione dall’America Latina verso i paesi europei, che restano meta preferita soprattutto  dei paesi quasi limitrofi dell’Est-europeo. Già prima della pandemia cominciava una nuova tendenza tra questa categoria di lavoratori nell’assistenza domiciliare; pur rimanendo dominante il numero delle ‘badanti’ residenti presso gli assistiti, però si vedeva aumentare il progetto, se non la realizzazione, di una maggiore autonomia: con una propria residenza, accompagnata magari da un parziale (i figli) se non completo (marito-moglie) ricongiungimento del proprio nucleo famigliare; questa tendenza implicava ed implica una differente organizzazione del lavoro di assistenza, ad esempio l’orario, che difficilmente può restare anche notturno, aprendo una nuova problematica circa la copertura delle ore ‘scoperte’ da parte della famiglia dell’assistito, ma riguardante anche la retribuzione, che molto spesso, e stiamo parlando di quella alla luce del sole, è stabilita in un numero minore di ore per evitare una spesa maggiore in contributi. C’era, c’è poi la ricerca di una migliore collocazione professionale: tramite corsi abbastanza accessibili, o accettando mansioni molto semplici, si può tentare un’occupazione in istituzioni pubbliche o private come ospedali, case di riposo, poliambulatori, ecc., molto più regolata e meno imprevedibile di quella che la morte può interrompere di colpo. Per quanto molto lentamente, c’è poi l’inevitabile avanzamento verso un più ampio riconoscimento di diritti, a fronte di una più rigorosa precisazione delle prestazioni richieste e dovute (non più, quindi, la totale anarchia che permette ancora oggi di pretendere tutto, dalla stiratura delle camicie dei figli ai più delicati interventi infermieristici), quindi di una adeguata formazione e retribuzione; le quali prospettive difficilmente potranno essere sostenute economicamente dalla stragrande maggioranza delle famiglie che oggi si avvalgono, in nero o in luce, dell’assistenza ai propri anziani da parte di operatori esterni alla famiglia. Infatti, a fronte di un’innegabile

realtà diffusa di sfruttamento, di atteggiamenti discriminatori, fino a forme di maltrattamento fisico e psicologico, bisogna dire che molte situazioni sono irregolari non per grettezza psicoeconomica, ma per la difficoltà della famiglia di affrontare compiutamente la spesa dell’assistenza. Abbiamo un ex-stato welfare che ha completamente abdicato all’assistenza di anziani, disabili fisici e psichici, portatori di malattie rare, ecc. Tutto il peso è stato buttato sulle famiglie, che, se le ricevono, si vedono arrivare sovvenzioni e detrazioni fiscali ridicole e assolutamente inutili. Le scarse istituzioni pubbliche di assistenza sono quasi sempre inaccessibili e molto spesso in affidamento a privati, i quali, si sa, non è per raggiungere il regno dei cieli che investono nel settore. Se lo Stato facesse il conto di quanto queste famiglie gli fanno risparmiare, occupandosi loro dei propri cari da assistere, potrebbe considerare diversamente il contributo loro dovuto, anche dal punto di vista di un riconoscimento sociale preciso. Mi sa, però, che siamo già nel campo utopico del salario alle casalinghe! Dice Francesco Vietti, in Il paese delle badanti:

“L’assenza delle donne moldave[i] da casa e dai figli non è che lo specchio dell’assenza delle donne [sigh! Perché non anche gli uomini? n.d.r.]italiane dalla cura dei propri genitori: una doppia assenza  che chiama inesorabilmente in causa il welfare state italiano con tutte le sue carenze, le sue contraddizioni, la sua inadeguatezza a far fronte ai cambiamenti sociali innescati dall’emancipazione femminile e dal massiccio ingresso delle donne nel mercato del lavoro. Un ritardo storico, compensato nell’ultimo decennio dallo sviluppo di un mercato privato del lavoro di cura che si è nutrito di una forza lavoro in apparenza illimitata, costituita dalle badanti provenienti dall’estero. (…) In apparenza la convergenza di bisogni tra le società postfordiane e quelle postcomuniste rende lo scambio vantaggioso per entrambe (…)Il vantaggio reciproco nasconde però una doppia dipendenza (…)nel medio-lungo periodo emergeranno infatti tutte le difficoltà di una gestione dell’invecchiamento della popolazione basata su un rapporto di assistenza uno a uno, così come sarà possibile che il flusso di migrazione di cura proveniente dall’Europa dell’Est vada incontro a una graduale diminuzione dovuta al miglioramento delle condizioni economiche dei paesi di provenienza, che peraltro soffrono di un saldo negativo della popolazione.”[ii]

Dice Sara Manzoli in Mi devi credere:

“Al primo colpo d’occhio questi figli sembrano gli aguzzini di questa classe lavoratrice, ma se poi andiamo a guardare bene dentro le situazioni scopriamo che questi non sono altro che essi stessi portatori di sofferenza e di diritti negati. Una catena di tutti contro tutti creata da bisogni contro bisogni. Questo avviene perché è la gestione stessa dei servizi che la crea: contrappone il diritto all’assistenza delle famiglie bisognose a diritti delle badanti che soddisfano questo bisogno; e poi fomentare questa contrapposizione per creare controllo sociale e sfruttare grandi masse di lavoratrici migranti.”[iii]

 

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[i] Perché Vietti soprattutto di loro parla nella sua ricerca, come campione su cui costruire una riflessione più ampia.

[ii] Francesco Vietti, Il paese delle badanti,Meltemi, (PU) 2019, pp.213- 215)

[iii] A cura di Sara Manzoli, Mi devi credere, cantiere di socioanalisi narrativa svolto con un gruppo di badanti, Sensibili alle foglie, 2020, p.40.

 

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