JACOB ISRAEL DE HAAN di Anna Maria Farabbi

(immagine di Alessandra Gasparini)

A Gerusalemme tre spari integralisti nel petto di un uomo

lo uccidono

non la sua poesia

Ancora la piccola editoria mette a fuoco preziosità utili. Valeria Di Felice per Di Felice Edizioni propone Jacob Israёl de Haan per la traduzione dal nederlandese di Patrizia Filia che firma anche la nota introduttiva.

Qui in Italia non esiste, credo, altra pubblicazione di poesia che porga questa straordinaria personalità. Quartine è l’opera poetica più importante e compiuta di de Haan.  Avrei desiderato un più corposo saggio introduttivo che magari entrasse negli intrecci politici vissuti dal poeta e nella sua vasta identità letteraria. Elogio, tuttavia, l’eccellente scelta di Di Felice e la notevole qualità della traduzione di Filia.

Jacob Israёl de Haan viene assassinato il 30 giugno 1924, folgorato da tre spari, dopo essere stato avvicinato con la semplice richiesta di che ora fosse.

La motivazione dell’omicidio, organizzato coralmente per ragioni politiche, ferma definitivamente un processo di cooperazione avviato, tessuto, sostenuto dal poeta, non solo con la sua parola artistica, ma con tutto il suo corpo. Riporta tragicamente luce su quanto da sempre sia combattuta e sterminata la resistenza di artisti e pensatori che si offrono alla comunità, elaborando un pensiero di costruzione di pace e di canto. Qui l’area geografica sanguinaria e insanguinata è la Palestina, dove ancora oggi, e per molto futuro purtroppo, strategie di potere, interessi economici, integralismi occlusivi e separativi uccidono persone, aperture, ponti e persone, dilatando la forbice tra  benessere e povertà (mi riferisco ai Palestinesi).

Narro brevemente la biografia di de Haan.

File: Jacob Israel de Haan.jpg

(da wikipedia pubblico dominio)

Nato il 31 dicembre 1881 a Smilde, nei Paesi Bassi, assieme ai suoi diciassette fratelli ricevette un’educazione ebraica tradizionale. Già con il suo primo romanzo pubblicato nel 1904 Linee da De Pijp emerge la sua forza erotica omosessuale scandalizzando la società letteraria e quella borghese. E’ costretto a licenziarsi come insegnante. E’ espulso dai circoli politici socialdemocratici. La sua personalità colta e aperta di scrittore, avvocato e giornalista ebreo, ha una forza dirompente e propositiva. Nel 1912 viaggia spesso in Russia per studiare la situazione dei prigionieri politici, per cui l’anno seguente pubblica Nelle prigioni russe. Fondò un comitato con lo scrittore Frederick Van Eeden e la poeta olandese Henriette Roland Holst, allo scopo di far alleviare le condizioni dei prigionieri politici incarcerati nella Russia zarista. La stessa Amnesty International lo ha definito un attivista precursore.  In questo arco di tempo, di osservazione e di affiancamento agli ebrei, cominciò a desiderare di approfondire la  conoscenza del sionismo e trasferirsi a Gerusalemme. Così scrisse:

Non lascio l’Olanda per migliorare la mia condizione. Né materialmente, né intellettualmente la vita in Palestina sarà uguale alla mia vita qui. Sono uno dei migliori poeti della mia Generazione, e l’unico importante poeta nazionale ebreo che l’Olanda abbia mai avuto. È difficile rinunciare a tutto questo.

In questa consapevolezza superba, si stabilì a Gerusalemme, insegnando in una scuola di legge, e continuando a collaborare alle maggiori testate olandesi. La sua posizione fu subito aperta verso la collaborazione con gli arabi, contraria a ogni atteggiamento di chiusura proprio dei sionisti radicali.

Nell’agosto 1923, de Haan incontrò il leader hashemita Emir Hussein bin Ali, e suo figlio, Emir Abdullah, futuro re della Transgiordania indipendente, cercando sostegno per il Vecchio Yishuv, e spiegando l’opposizione ebraica Haredi ai piani sionisti di fondare uno stato. Si impegnò notevolmente a sostenere la creazione di uno stato palestinese ufficiale all’interno dell’Emirato di Transgiordania come parte di una federazione. de Haan aveva in programma di recarsi a Londra nel luglio 1924 con una delegazione Haredi, antisionista, per discutere contro il sionismo.

E’ intuibile l’articolata complessità culturale e politica che sempre ha reso questi territori incandescenti, esplosivi, tra una tesissima conflittualità di correnti interne e relazioni segrete, più o meno segrete, con governi esteri. Un paradiso, quello di Israele, sorto dalla tragedia dei campi di concentramento ma alimentato da dinamiche cannibalesche nei confronti degli arabi. Ancora oggi, in questi luoghi si compie una danza macabra, senza intenzione di creare concretamente una convivenza federativa interreligiosa.

Immediatamente, l’assassinio fu rimandato alla responsabilità degli arabi. Il giornalista Liel Leibovitz ha scritto che, mentre l’identità di chi aveva ordinato l’assassinio era sconosciuta, non c’è dubbio che molti nella dirigenza sionista di Gerusalemme fossero a conoscenza della proposta di uccidere de Haan— e nessuno si oppose.

Oggi, nessuno ormai dubita che l’omicidio de Haan fu il primo vero e proprio assassinio politico in Palestina.

Jacob Israel de Haan è stato un precursore pure del movimento di emancipazione omosessuale. Ad Amsterdam, il Monumento all’Omosessuale del 1987, primo dei monumenti al mondo, ricorda le persone perseguitate a causa del loro orientamento sessuale, e cita un suo verso: Un desiderio così infinito di amicizia.

Entriamo nella sua poesia.

Bernard Verhoeven lo definisce il poeta del rimorso in una rappresentazione ferocemente duellante, dicotomica, tra carnalità e spiritualità.

L’opera si costituisce in un mosaico splendido di quartine. La sensualità, la tensione lirica, si concentrano nell’orto autobiografico del quotidiano, dentro cui ebrei e arabi transitano insieme. Dio è lo gnomone che detta il tempo della luce interiore, ma il sangue irrora ogni passo del poeta fino farlo ariete contro il muro del pianto.

de Haan nomina la poesia  canto, e questo mi è molto caro con tutte le affinità della condivisa accezione. Un battito lirico interiore che canta a prescindere dalla sua trascrizione sul foglio, inedito o edito che sia. Il nitore del verso entra nei vicoli, tra le pelli, nelle atmosfere ombreggiate o bronzee di Gerusalemme, nei luoghi più intimi in cui si barattano in dolcezza coppe di vino amatissimo e corpi. Mai per evasione, ma per consacrazione all’impermanenza della bellezza.

Se il poeta o la poeta è chi va nel profondo o nello sprofondo di sé, dentro quella liquidità interiore al punto da farne canto: un piccolo oriente della propria vita che apre confini e vocazione al tu.

Se il poeta fa del suo corpo strumento assoluto del suo canto e del suo viaggio relazionale, esce nettamente dal sistema letterario e diventa sconfinato nel senso letterale del termine, eretico, pericoloso. Così, il destino di de Haan e della sua poesia.

Questa poesia rivela, in una fisarmonica interiore, lucentezze purissime, occhielli di mistica, proposte politiche del noi, erotiche onde di nutrimento.

Doni di Dio

I canti più devoti li ho scritti

dopo essermi levato dal letto licenzioso.

Dio mi ha dato un tesoro di peccati

e solo Dio mi ha salvato dai miei peccati

 

 Onnipotenza di Dio

Non dite: “il nostro Dio è un Dio senza peccato.”

Tutti i nostri peccati sono peccati di Dio.

Le nostre ferite sono bubboni della Sua Ferita.

Il Suo Destino decide il nostro destino.

 

Anna Maria Farabbi

*

Su  Jacob Israel de Haan segnaliamo su “La macchina sognante”:

http://www.lamacchinasognante.com/dalle-quartine-di-jacob-israel-de-haan-a-cura-di-patrizia-filia/

 

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