IN RUSSIA, a cura di Nella Roveri

Mi è capitato sotto gli occhi questo frammento di Anna Politkovskaja, prendendo in mano il libro presentato da lei stessa a Mantova, al Festivaletteratura del 2005. Credo metta in luce quegli aspetti della guerra a cui non si pensa mai, frastornati dal battage mediatico che si spaccia per cronaca. Al tempo era la Cecenia il luogo del conflitto, ma il pensiero sui militari vale anche oggi.

In Russia l’esercito – uno dei pilastri istituzionali dello stato – continua a essere un campo di concentramento per i giovani che finiscono dietro il suo filo spinato. Un campo con relative norme di convivenza paracarcerarie imposte dagli ufficiali. Un luogo in cui il primo metodo educativo è quello di “stanarli e ammazzarli fin nel cesso” (il primo slogan che il neoeletto Putin ha usato per scandire la sua lotta con i nemici all’interno della Russia).

È probabile che ciò aggradi al nostro attuale (2004) presidente, con le sue mostrine da tenente colonnello e con due figlie che non dovranno fare il servizio militare. A noialtri, invece (eccezion fatta per la casta degli ufficiali, perfettamente a loro agio nel ruolo dei fuorilegge impuniti), certe cose fanno soffrire. Soprattutto a chi ha dei figli maschi. E tanto più a chi li ha in età di leva, e dunque non ha tempo di aspettare quelle riforme dell’esercito promesse da tempo, ma che finiranno immancabilmente insabbiate. Ragazzi che rischiano di finire direttamente al poligono di Kamyšin, in Cecenia, o in qualunque altro luogo da cui non si torna.

Anna Politkovskaja, La Russia di Putin, Adelphi, Milano 2005, p.38.

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