UN POETA DI STRADA, di Alessandra Gasparini

(fotografie di Alessandra Gasparini)

Genova, la mia città d’adozione, riluce di mille tonalità visive e olfattive, si nutre di sonorità aspre e delicate che si confondono attraversando i carrugi, scendendo sino al porto, risalendo verso le piazze, le strade in piano, i viottoli in salita per Castelletto, per Righi e altre destinazioni altrettanto magiche e imprevedibili.

Da alcuni anni una delle sonorità più care e consuete per me e famiglia, arrivando da fuori, è la voce di Luca. Fino a circa un anno fa lo chiamavamo “il poeta”. Ci arrivava prima il suono della sua voce,  poi i versi che stava declamando con intonazione delicata e sapiente. Ci dicevamo “Siamo decisamente arrivati a destinazione ! ”.

Luca Bertoncini ha 58 anni, vive in alto, a Castelletto, e la città la può contemplare quasi intera, la bella “Superba”. Il suo mestiere, caso unico in città e forse anche altrove, è poeta di strada, contemporaneo aedo, declamatore di versi poetici.

Lo incontriamo in via Galata, dove ha appena terminato di esibirsi, e ci sediamo da Panarello per una piacevole chiacchierata tra amici.

Luca, la poesia ha sempre fatto parte della tua vita?

Direi di sì. In particolare a partire dalle scuole superiori. All’epoca, sfogliando l’antologia ero colpito da alcuni poeti, primo fra tutti Guido Gozzano. Coglievo la musicalità delle parole, dei versi, e  ne rimanevo affascinato, mi ci affezionavo. Amavo lo stile poetico di alcuni di loro. In quel periodo mi sentivo molto più legato alla poesia che alla prosa, pur essendo un appassionato lettore di narratori del Novecento. Amavo particolarmente alcune poesie di Eugenio Montale. Ero forse un lettore un po’ superficiale, mi lasciavo affascinare più che altro dall’aspetto musicale, dalla sonorità. La poesia la incontravo spesso, in vari modi. Anche i più inconsueti. Mi ricordo un film degli anni ’80, probabilmente di Tinto Brass, con Serena Grandi, al termine del quale i due amanti per consumare il loro rapporto entrano  in un casotto e vi trovano un uomo che sta leggendo “L’assenza” di Guido Gozzano. Così il film si conclude, con i versi di Gozzano. Mi colpì molto.

Bel finale davvero. Dalla fascinazione erotica  alla dolcezza del verso crepuscolare! Ma tu pensi che oggi la poesia abbia ancora valore per la società?

La poesia ha purtroppo toccato il punto di accoglienza più basso della storia. La capacità di attenzione delle persone ha avuto negli ultimi anni un calo significativo, il livello di ascolto è ormai decisamente in ribasso. Ciononostante ancora oggi, dopo circa sette anni da quando ho iniziato, ci sono persone che si fermano a lungo e aspettano che io finisca di declamare per parlare con me di poesia. I giovani sono pochi, ma qualcuno c’è, a volte anche molto appassionato di poesia. Capita sempre meno, ma capita. 

Sai che noi ti chiamavamo “il poeta di Genova”. La tua presenza un po’ soffusa, misteriosa, ci introduceva a questa magica città, quando ancora non sapevamo il tuo nome. Ricordi qualche episodio particolarmente gratificante per te? Mi riferisco alle reazioni del tuo pubblico.

Sì, diversi episodi. La percezione che avete avuto mi è stata riferita anche da altri, mi hanno sentito parte di una città “diversa”. Nessun riconoscimento mi è mai giunto dalle autorità, ma da esperti di poesia sì. Per esempio, qualche anno fa stavo recitando una breve poesia di Patrizia Valduga, dedicata a Giovanni Raboni. Un signore si ferma e mi dice che sta parlando al cellulare proprio con lei. Era Massimo Bacigalupo, docente universitario, che riferisce alla poetessa di me che declamo i suoi versi. “Chi è quello che recita le mie poesie per strada, che me lo sposo?” risponde lei.

(Luca ha uno sguardo dolcissimo, gli sorridono gli occhi. Molti passanti lo riconoscono e lo salutano. Lui risponde con un cenno gentile, non ne dimentica nessuno). Raccontane altri!

Beh, per esempio una volta stavo recitando versi di Antonia Pozzi e si fermò ad ascoltarmi la sua principale biografa. O quando, all’inizio della mia attività, Rai 3 mi propose di fare un servizio  al Porto Antico. Li precedetti, e mentre  da solo facevo una prova, recitando Dante, si fermò il prof. Francesco de Nicola per complimentarsi. Quando giunse la troupe  il giornalista fece domande su di me al prof, che con le sue risposte rese importante il servizio. Ne fui lusingato.

Come ti è nata l’idea di fare della declamazione di poesie un lavoro?

Passeggiavo in centro a Genova e vidi un artista di strada. Mi venne un’idea. “Hai mai visto qualcuno che reciti poesie in strada?” gli chiesi. Disse di no. Sapevo già alcune poesie a memoria, imparate per il piacere di farlo. Era il 2015, ero disoccupato.  Decisi che lo avrei fatto come mestiere. Comprai amplificatori e microfono e iniziai a provare a casa. Poteva funzionare, iniziai.

Quanti testi hai oggi in repertorio?

Circa 160 testi, la maggior parte di poeti del Novecento. Ma anche alcuni classici del passato, in particolare Dante, Petrarca, Leopardi.

Quali sono i tuoi poeti contemporanei preferiti?

Direi: Gozzano, Pascoli, Montale, Luzi e Caproni. Sono i primi.

Niente stranieri?

Pochi. Rimpiango di non conoscere abbastanza bene le lingue straniere, solo questo mi permetterebbe di catturare appieno la musicalità del testo.

Hai incontrato difficoltà all’inizio dell’attività? Hai dovuto e devi chiedere particolari permessi?

No. Fortunatamente a Genova esiste un regolamento che tutela gli artisti di strada e consente loro di occupare il suolo pubblico, seppure per un tempo non troppo lungo. I miei interventi durano al massimo un’ora. Poi, mi sposto.

In quali punti di Genova preferisci recitare?

Qui in via Galata, per esempio. Ma anche a Boccadasse, in Corso Italia, in Piazza Fontane Marose, sotto il tiglio della Prefettura…

Luca, ti capita di recitare poesie scritte da te?

In realtà ne ho scritte poche, verso i venti, ventidue anni. Ho frequentato per un anno la facoltà di Lettere Moderne, nel 1983-84. All’epoca scrivevo su una rivista universitaria che si chiamava “Belusci”, in onore del comico statunitense. Un quadernetto di fogli A4 divisi a metà, stampato e diffuso in università. Il sottotitolo era “Periodico scapigliato di poesia e cultura”. Sono rimasto amico degli ex belusciani. Su quella rivista avevo pubblicato alcune mie poesie. Mi è poi capitato di recitarle, ogni tanto. In realtà ho ripreso a farlo qualche anno fa, in occasione della morte di una mia cagnolina.

Ti è mai capitato di partecipare ad eventi culturali a Genova?

Come sai, a fine  febbraio  di quest’anno ho partecipato  assieme a voi alla Giornata Mondiale della Poesia, che abbiamo celebrato trovandoci a recitare assieme a Castelletto. In generale, più che ad eventi pubblici sono stato invitato a partecipare ad eventi privati.

Parlami della tua vita prima di scegliere di diventare artista di strada.

Fino al 1994 sono vissuto a Milano, dove sono nato. Sono stato per nove anni impiegato amministrativo nell’azienda dell’ex Montedison. Avevo un buono stipendio ma poi la ditta ha iniziato ad andare male. Amavo la montagna e mi sono trasferito nel Trentino, dove ho vissuto dal 1994 al 2007, a San Michele all’Adige. Là ho fatto l’agente di commercio, il commesso in un supermercato, il falegname, il venditore porta a porta…Giravo molto. Vivevo solo ed ero libero. Nel 2001 ho conosciuto Cinzia, mia moglie, che era residente a Genova. Nel 2007 decidemmo di trasferirci qui e nel 2008 prendemmo in gestione un bar a Molassana, per due anni.  Un lavoro pesante e insoddisfacente. Mi mancava così tanto la poesia che nel locale creai un “giornale da parete”. Appendevo fogli con testi di poesie e immagini artistiche. Gli avventori non erano il genere di persone che poteva rimanerne colpito, ma su di me aveva un effetto consolatorio. Era più o meno il periodo dell’ascesa di Monti. Non ero abituato a seguire la politica. Da questo punto di vista mi sono svegliato nel 2016. Non capivo  le ragioni   del “sì” e del “no” del referendum Renzi  sulla modifica della Costituzione. Decisi che dovevo iniziare ad occuparmene. Sentivo che non ero d’accordo ma non sapevo argomentarlo. Oggi sono in grado di approfondire e di ragionare su ciò che accade in politica. E di riconoscere ciò che non funziona.

Parlami dei tuoi cagnolini barboncini. Ne hai 11, se non sbaglio.

Sì. Originariamente erano due, appartenevano a Cinzia. Sono barboncini nani “color albicocca”. Da due diventarono sei. Cinzia ne acquistò altri due, andava pazza per loro. Con tre cucciolate arrivarono a quindici. Ora sono undici e hanno una media di dieci anni. Solo uno di loro è stato ceduto. Gli altri vivono con noi, in casa e in giardino, a Castelletto.

 

Tornando al tuo lavoro, pensi che un giorno potresti stancartene, volerlo lasciare?

No, non penso a questo, ma arriverà probabilmente il momento in cui sarò costretto a farlo. Le possibilità per chi fa quello che faccio io diminuiscono di giorno in giorno. Prima della pandemia questa attività mi consentiva di vivere. Ma ora c’è molta meno gente in giro. Soprattutto gli anziani, che spesso si fermavano sulle panchine, per ascoltarmi a lungo. I giovani non sono preparati ad ascoltare versi. Aspetto, spero di resistere. Il controllo sociale, che si fa sempre più serrato, la sparizione del contante, di certo non mi favoriranno. Se gli artisti di strada sopravvivono è perché la loro attività non è stata sino ad ora sottoposta a tassazioni e a controlli. Si sta iniziando adesso. Al nord ci sono già paesi dove gli artisti di strada devono avere il POS. (!)

La società si sta “evolvendo” nelle tecnologie e decisamente involvendo nel valorizzare le tradizioni, le espressioni culturali e artistiche spontanee, così come i rapporti umani basati sull’empatia, sul guardarsi in faccia, ascoltarsi, solidarizzare con gli altri… Cosa ne pensi?

Chi vuole la società del controllo si ritiene al di sopra del bisogno di umanità, comunicazione emotiva, basata sulla vicinanza, sul trasmettersi calore reciproco. La società odierna permette la sistematica violazione della dignità umana, nel corpo e nella mente. Sino al 2019 credo che quasi tutti sarebbero stati d’accordo nel condannare tali violazioni della dignità individuale. Oggi non è più così.

Ti avevo chiesto di recitare per noi  una poesia per te particolarmente importante nel momento presente. Hai scelto “Vola alta parola” di Mario Luzi. Bellissima. Perché questa scelta?

La parola è ancora il mezzo che ci consente di trasmettere il nostro pensiero. Luzi si chiede in questi versi se la poesia possa ancora esprimere il nostro sentire e il nostro dolore. Non dà una risposta ma incarica la parola di andare in giro e scoprire cosa la poesia ci può dare, cosa le chiediamo. Amo Luzi per i suoi dubbi, per le domande che pone. Lascia aperte le porte.

Grazie, Luca, del tempo che ci hai donato, della bellezza che sempre regali.

Video 1: Guido Gozzano, L’amica di Nonna Speranza

Video 2: Giorgio Caproni, L’ascensore

Video 3: Mario Luzi, Vola alta parola

 

La tua presenza, di Luca Bertoncini

 

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