INTERVISTA A SAVERIO BAFARO SU “METAPHORICA”, di Anna Maria Farabbi

Intervista di Anna Maria Farabbi a Saverio Bafaro su «Metaphorica» ‒ Semestrale di Poesia 

Saverio, perché fondare una rivista? E per di più cartacea?

Grazie, intanto, cara Anna Maria, per la sensibilità dimostrata ad accogliermi nel tuo blog, dandomi così modo di annunciare questa notizia. Lanciare una nuova rivista di poesia ‒ specie in versione cartacea ‒ appare, ai più, una sorta di “operazione kamikaze”, evidentemente rischiosa, considerato il panorama già saturo in questo genere di pubblicazioni, da una parte, e il limitatissimo destinatario, dall’altra. Ebbene sì, approdiamo già alla prima questione scottante: chi vogliamo legga una rivista di poesia nel XXI secolo? La risposta forse vi stupirà: non un pubblico di élite e di soli addetti ai lavori! Se la democratizzazione del mondo letterario, e poetico in particolare, ha condotto a un abbassamento della qualità testuale, a pensarci bene, questa tendenza, ormai inesorabile, potrebbe allargare a tutti il campo di interesse verso la lettura dell’espressione poetica. Riproporre, dunque, la gioia di una poesia stampata ma, nello stesso tempo, aggiornata sui tempi. Sento, in questo senso, subito bisogno di ringraziare Alfredo Catalfo e le sue Edizioni Efesto nell’aver creduto nel progetto. Ci si vuole dare necessariamente la possibilità di immaginare un futuro letterario, un lettore curioso, un lettore che ami appollaiarsi sul libro, che si sia stancato di scorrere frettolosamente uno schermo dall’alto verso il basso. Mi piacerebbe che questa rivista diventasse ‘presenza’ familiare per un nuovo pubblico tutto da conquistare,  in trepida attesa per la sua uscita e “freschezza di stampa”, per la spedizione postale a casa…In una fase così precoce di “venuta al mondo” della stessa rivista bisogna fare in modo che essa acquisisca una visibilità ‒ prima che nell’editoria cartacea ‒ nella stima dei lettori che, da potenziali, diventeranno in seguito attuali e affezionati. E i nostri lettori, ci auguriamo, si proclameranno, senza dubbio ed esitazione,  “vecchio stile”, innamorati  della “materialità” dell’ oggetto-libro, della sua natura intrinseca, “di cellulosa”, provocante nel farsi annusare, toccare, sfogliare, leggere, ri-leggere, portarsi appresso ovunque si vada, ammirandone gli spazi neri e quelli bianchi, la grafica, le illustrazioni. Se non è troppo da sognatore questa è la base dell’idea, la sua principale motivazione, il resto è e sarà, evidentemente, duro lavoro, collaborazione stretta con molte personalità ausiliarie, a partire da due grandi compagni di viaggio come Franco Dionesalvi e Anna Petrungaro, con i quali ho già collaborato fianco a fianco nella redazione di «Capoverso».

Perché il nome ‘Metaphorica’?

Ci siamo voluti concentrare sulle figure retoriche. Dopo un po’ di proposte mi è venuto in mente questo nome basato, evidentemente, sulla metafora, e reso in forma aggettivale, come accade spesso per i titoli in ambito musicale (si pensi, ad esempio, ai gruppi o agli album). Quella “metaforica” è la risorsa retorica e creativa più potente in assoluto del linguaggio poetico (e oserei dire del linguaggio in generale), il nome risulta quindi molto solido ma anche molto dinamico e futuribile. Ho, poi, trasformato la ‘f’ in ‘ph’ affinché possa rievocare la Grecia, da cui la nostra cultura mediterranea è diretta discendente, soprattutto per quanto riguarda l’enorme eredità della lirica. Ma ‘metafora’ significa anche “trasferimento oltre”, quindi rimanda a uno spostamento fisico in un luogo mentale e spazio-temporale altro, e in questo caso si riferisce anche al passaggio alla redazione e ideazione di una rivista, per alcuni versi, più innovativa e moderna. Ultima suggestione del nome è quella che mi ricorda ‒ specie se resa graficamente con un carattere adeguato ‒ il nome di un farmaco: le copertine avranno, infatti, sempre il titolo in nero e lo sfondo bianco, a simulare una scatola di medicinali. La parola poetica come medicamento dalla superficialità del mondo, la metafora come strumento dal valore creativo e trasformativo, come reale possibilità curativa e ricompattante per un’umanità ferita. 

Con quali criteri di scelta hai cercato le tue collaborazioni?

Come ho scritto nella Ouverture del primo semestrale: «Metaphorica» «è una collaborazione solidale tra artisti e studiosi “simili”: accomunati da una visione della Poesia come social catena di donne e uomini validi nella vita, prima ancora che nella penna. / È la mia ritrovata pace con la “comunità poetica”, ancor più lontano dagli invischiamenti settari e dalle logiche di appartenenza a fazioni; / è un spazio libero dove poter selezionare e accogliere riflessioni di valore, un contributo collettivo per chi intravede, nei versi, una possibilità di scoperta e cambiamento: ne sono i destinatari tutte le generazioni, i tecnici come i neofiti, per poter richiederci, insieme, dove e come incontrare i poeti italiani e stranieri contemporanei, i grandi versificatori del passato». La visione leopardiana della poesia, con i suoi spunti scientifici, filosofici e psicologici, credo sia quella più utile in assoluto: la piccolezza umana a confronto con lo strapotere della Natura, ultimamente ‒ come abbiamo notato ‒ in totale e giustificata ribellione contro di noi… Come può un piccolissimo gruppo di amanti delle lettere contribuire alla cultura poetica se non diventando una vera e propria comunità? Ho scelto e continuerò a scegliere una rete umana basata sulla stima e sul rispetto reciproci, è interessante notare come, nel risultato globale, ci siamo riconosciuti negli stessi valori, dopo aver messo insieme i pezzi del primo numero della rivista, come si siano create comunanze di temi e intenti. Occorre ritrovare ‒ da parte di poeti e critici ‒ una massiccia dose di umiltà e laboriosità silente e costante, per tornare ad appassionarci agli oggetti e alle differenze, evitando a tutti i costi di farsi imbrigliare e schiavizzare da invidie e giochi di potere, dai soliti personalismi, cancro della poesia dei nostri tempi, a tutti gli effetti. Ecco «Metaphorica» vuole essere anche un farmaco anti-narcisistico; voglio, dunque, collaborare con esseri umani che facciano trasparire la loro profondità emotiva e i loro stessi vissuti. Proporre riflessioni critiche basate su suggestioni tecniche e astratte non basta (il risultato potrebbe essere quello di un mero e vacuo gioco intellettualizzato), c’è bisogno di unirvi la vita vissuta, il proprio specchio incarnato.

Quale sarà l’identità della rivista? I suoi obiettivi, le sue proposte?

Il libro avrà una dimensione tascabile molto simile a quella di un’agenda, seguirà delle sezioni classiche come: la scelta di brani poetici inediti in italiano e in vernacolo di autori meritevoli per qualità degli scritti e per percorso già svolto; le traduzioni da lingua straniera, ma anche dai nostri importantissimi dialetti, fin qui la missione sembra, appunto, quella di scoprire le potenzialità etniche delle lingue, largamente intese, con un occhio preferenziale, specie per gli stranieri adattati nella nostra lingua, verso gli autori ancora non tradotti o comunque poco conosciuti in Italia; gli interventi ovvero contributi più estemporanei e diaristici, solitamente di poeti su poeti, sceltisi i base ad assonanze e richiami; i saggi ovvero contributi più strutturati e dall’apparato critico più rigoroso e citazionista delle fonti bibliografiche e testuali, per quanto sempre attento a mantenere un respiro divulgativo e di leggibilità; chiudono le recensioni a recentissime sillogi poetiche e a saggi sulla poesia. Affiancate a queste sezioni ce ne sono altre più identitarie della rivista: La poesia si racconta dove un poeta affermato sceglie una sua poesia importante e ne auto-svela il processo creativo, l’ispirazione e la storia; Intersezioni all’interno della quale la poesia incontra, di volta in volta, altre arti e scienze, ma anche altri media, con un palese impegno nello sdoganarne l’immagine polverosa e stantia della stessa poesia, aprendo il dibattito agli incroci innumerevoli tra di essa e altre discipline e contesti, per renderne possibile la fruizione anche ai giovanissimi. Ecco come la rivista può essere utilizzata come strumento per avvicinarsi alla poesia moderna e contemporanea, magari anche attraverso specifici laboratori didattici. Non a caso il primo semestrale include due rubriche, una su ‘Poesia e Scuola’, l’altra su ‘Poesia e Poetry Slam’; Profili della Memoria propone una mirata ritrattistica di poeti e poetesse da poco scomparsi che rischiano di cadere nell’oblio,  delle loro figure  viene tratteggiato ‒ per mano di studiosi o poeti che li hanno conosciuti direttamente ‒ il contesto storico-culturale e la poetica, recuperandone e attualizzandone il valore; Rhetorĭca ovvero uno spazio approfondimento delle figure retoriche nella storia dei classici della poesia. 

C’è sempre il difficile problema economico che inciderà senz’altro, vista anche la sua natura cartacea. Come pensi di affrontarlo?

Inserendo nella rivista dei “valori aggiunti” che solo la carta sa rendere. La sinergia tra le arti può essere una prima soluzione, prevedo, infatti, per ogni numero di “adottare” un artista contemporaneo (possa essere disegnatore, illustratore, pittore, scultore, fotografo, performer). In copertina, lungo le pagine e tra le sezione figureranno così le sue opere, in maniera tale da comporre un vero e proprio catalogo d’arte, in attesa di presentare la rivista nello stesso spazio espositivo in cui esporrà l’artista. Un contesto di contiguità e continuità degli intenti poetici non potrà che rafforzare il messaggio, dimostrare apertura di barriere e confini, riavvicinando arti e mestieri, senza separazioni e compartimentalizzazione, far defluire più libertà e incontri tra “poeti” (ovvero ‘creatori’) eterogenei. E, come dicevo sopra, è la componente di “attesa” a fidelizzare i lettori più che il prezzo di copertina (che rimarrà, tra l’altro contenuto), l’impareggiabile e imponderabile piacere di leggere e vedere le pagine immedesimandosi, ci auguriamo, con molti suoi aspetti. Perché ci possono essere lettori abbonati a riviste (addirittura mensili) di storia e archeologia e non li prevediamo per il mondo della poesia? Forse partiamo scoraggiati? Noi ci vogliamo credere, senz’altro proponendo e affinando, sempre di più, un manufatto librario originale  e riconoscibile, che si possa ben identificare e contraddistinguere tra le proposte già esistenti sul mercato.

Come e se può rispondere, secondo te. la cultura alle dinamiche della guerra?

Pensando che il conflitto non è solo là fuori, anzi…mettendoci in discussione ognuno di noi, facendo i conti con quanto rimane dentro di noi irrisolto. Siamo tutti profondamente in guerra e questo nemico ha un nome ben preciso: Ego. Dico questo non perché ami le frasi ad effetto, ma per via della pratica quotidiana su questo tema attraverso il mio mestiere di psicoterapeuta: i pazienti rimangono allibiti quando, dopo varie peregrinazioni, si avvicinano sempre più alla fonte del problema, del proprio e altrui disamore, e questa fonte non può che riguardare l’Io, spesso l’unico vero ostacolo. Una volta che, pian piano, subentrano spiragli di luce, dopo tanti dolori, si scopre che può sussistere la pace col Sé, la serenità col Tutto, l’armonia con noi come ospiti di questo giardino e non come suoi egemoni detentori. Come ormai sappiamo la contraddizione umana ci tiene troppo e troppo frequentemente a riproporsi, facendoci riconoscere alunni discoli nell’apprendere dalla Storia, e rincappiamo nell’auto e nell’etero lesionismo. Per questo l’importanza della memoria a ricordarci che possiamo degenerare e distruggere. Credo, tuttavia, e fermamente, in una poesia dialettica, generata dallo scontro tra opposti necessari affinché, in fine e prima o poi, vengano fuori nuovi esseri umani più completi e consapevoli. Nel mio piccolo, ed è motivo di grande speranza, assisto, durante taluni passaggi della pratica terapeutica, al tornare bambini, sperimentando di nuovo l’immaginazione poetica, l’invenzione creatrice, e i bambini, di certo, non impugneranno mai armi. La poesia vuole essere messaggio ‘benedetto’, non più ‘maledetto’, «Je est un autre» ‒ scriveva Arthur Rimbaud ‒ “Io è un altro” (un estraneo, ma anche un possibile e necessario alleato), è arrivato, infatti, il momento serio e improrogabile di poterlo conoscere fino in fondo, grazie alla potente lente della poesia, sua fedele essenza, impronta e testimonianza, ed entrando dentro le sue viscere più recondite, disarmarlo.

 

Saverio Bafaro nasce a Cosenza nel 1982. È psicologo, psicoterapeuta, poeta e critico letterario. Presso l’università «La Sapienza» diventa dottore in Psicologia dello Sviluppo, dell’Educazione e del Benessere, si specializza, poi, in psicoterapia Gestalt-analitica individuale e di gruppo. Ha pubblicato: Poesie alla madre (Rubbettino, 2007);  Eros corale (e-book sul sito www.larecherche.it, 2011); Poesie del terrore (La Vita Felice, 2014). Sue opere sono apparse all’interno di antologie come Quadernario  ̵̶  Calabria (LietoColle, 2017), di riviste letterarie e blog di poesia e sono state tradotte nel Journal of Italian Translation (Bonaffini, 2021, vol. XVI, n. 2). Già redattore della rivista «Capoverso» ‒ per cui ha curato il numero monografico Omaggio a Pavese (Orizzonti Meridionali, 2019) ‒ fonda nel 2022 il semestrale cartaceo di poesia «Metaphorica» (Edizioni Efesto). Di recente ha curato la silloge postuma di Carlo Cipparrone Crocevia del futuro (L’arcolaio, 2021) e la traduzione di Stickeen. Storia di un cane di John Muir (La Vita Felice, 2022).

 

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