VIAGGIO A KIEV, di Elisabetta Chiacchella

 

Notizie sul progetto MEAN, movimento europeo di azione nonviolenta: costruire la pace durante la guerra in Ucraina 

 Dal numero di settembre 2022 inizio a tenere su Casamatta una rubrica fissa per dar conto ai nostri lettori del progetto MEAN (rigorosamente pronunciato all’italiana, nonostante sia gradito il rimando al significato che la parola assume in lingua inglese), nato dall’incontro di due iniziatori: Marianella Sclavi e Angelo Moretti. 

I due, come tante persone di buona volontà, si stavano interrogando sul che fare di fronte alla data del 24 febbraio 2022. Le porte sembravano chiuse a causa delle immaginabili ragioni che sconsigliavano qualsiasi iniziativa dal basso e da parte della società civile, eccezion fatta per gli aiuti umanitari che concretamente potevano arrivare alla popolazione aggredita.

Quando all’interno della fondazione Alexander Langer, durante una discussione appunto sul che fare di fronte alla guerra, emergono posizioni di stallo e contrarietà all’azione, l’agnostica Marianella Sclavi (architetta, etnografa, esperta di rigenerazione urbana, formatrice accreditata internazionalmente in gestione creativa dei conflitti) non accetta lo steccato insuperabile, così guarda altrove: cambia punto di vista e trova un interlocutore e un ascoltatore molto attento in Angelo Moretti, conosciuto anni prima, che invece non è interno alla fondazione Langer. Angelo Moretti viene dal volontariato vincenziano, è un beneventano con grande esperienza di economia sociale, un creatore di reti molto ampie, come quella di Sale della terra, o quella dei Piccoli Comuni di Welcome: un vero organizzatore molto includente, e un sincero credente cattolico.

La combustione fra queste volontà accende qualcosa anche fuori: quello che sembrava impossibile comincia ad accadere nella realtà. 

Attraverso due incontri preparatori che si svolgono in Ucraina, Marianella e Angelo, con l’aiuto della energica mediatrice linguistica Tetyana che vive stabilmente a Benevento, e con l’assistenza importante del pediatra Raffaele Arigliani, conoscono l’associazione Act 4 Ukraine e i suoi membri. L’ascolto reciproco, inizialmente pieno di diffidenza, lascia il posto a qualcosa che  implica il pensare out of the box, direbbe Marianella, fuori dalle cornici date, e si comincia a progettare la pace in tempo di guerra. Gli ucraini accettano di lavorare a un incontro che avverrà a Kiev l’11 luglio 2022, mentre gli italiani s’impegnano a coordinare i marciatori che vorranno manifestare per la pace.

Al loro ritorno in Italia, l’azione prende forma e comincia la chiamata ai sognatori che ci staranno. C’è uno slogan: More arms for hugs, no more wars! We mean it! C’è un post di Marianella su facebook, c’è la macchina organizzativa di Angelo, che va dalla creazione di summer camp per bambini ucraini alla costruzione della logistica per il viaggio e il soggiorno a Kiev.

I numeri di marciatori che si aspettano sono ambiziosi: se ne vorrebbero 5000. Procedendo nell’organizzazione, quando si prendono contatti con le persone reali veramente disposte a viaggiare, la cifra di 150 sembra più realistica. Ma, fra passaporti italiani non rilasciati all’ultimo momento e omicron dilagante, partiremo in 54. E saremo marciatori statici, perché per la nostra sicurezza dovremo stare tutti insieme e fermi in un luogo, per ogni eventualità di allarme aereo.

Veniamo da tutta Italia, solo la Val d’Aosta non è rappresentata nel nostro pullman (ne avremo abbastanza di pullman: saranno più di 30 le ore passate nell’abitacolo dei pullman polacchi e ucraini che hanno fatto la nostra strada). Non solo differenze regionali ci distinguono, ma veramente apparteniamo a mondi diversissimi. La prevalenza è di organizzazioni cattoliche, ma ci sono donne comuniste che soccorrono senza tetto o migranti, oppure altre in contatto con obiettori di coscienza ucraini che si sono fatti il carcere. Ci sono io e un’amica perugina, entrambe radicali e tavolinare referendarie di lungo corso; ci sono focolarine e giornalisti: di Avvenire, di TV2000, de Il dubbio e Il Riformista; ci sono sindacalisti Cisl, volontari di Arché, falegnami ed elettricisti trentini, giornalisti legati alle Acli, un europarlamentare europeo del Pd, un consigliere comunale verde trentino, un funzionario europeo esperto di guerre balcaniche, una ex assessora all’ambiente del comune di Roma, un ricercatore del CNR, una professoressa del Politecnico di Milano, un frate francescano esperto di cornamusa… insomma, una nebulosa variegatissima e per nulla velleitaria. Mi scuso per non aver citato tutti i profili, ma vorrei che chi legge sentisse il sapore di una delegazione nata da più di settant’anni di democrazia italiana: grande cosa, che procede per aggiunte capitiniane di diversità, e non per omologazioni schiaccianti. 

L’11 luglio al municipio di Kiev la formalità dell’incontro è quella delle occasioni importanti. Il nunzio apostolico Visvaldas Kulbokas interviene chiedendosi: “Qui tocchiamo il culmine del nostro incontro: come costruire la pace? Come costruirla, quando vediamo che sembrano non aver risultato né i tentativi dei leader politici del mondo, né l’esistenza del Consiglio di sicurezza Onu, né gli appelli del Papa, del Consiglio delle chiese e delle Organizzazioni religiose ucraine e mondiali? Dobbiamo dirci che, intanto, far crescere una unità di pensieri e di sentire tra le società civili è lavoro importante, essere insieme è importante. Così come é importante stare vicino al popolo e alle vittime.” 

 

E il monumentale sindaco Vitalji Klyscko ci ringrazia perché siamo andati fin lì pur sapendo che la nostra sicurezza non era garantita, poi continua dicendo che in Ucraina ci sono almeno venti etnie che convivono, che la guerra è una aggressione territoriale, perché è la terra che si vuole. Io penso: le motivazioni della loro resistenza sono quelle del nostro canto Bella ciao. Una mattina mi sono svegliato e ho trovato l’invasor.

Riporto spezzoni brevi e significativi per me, con il mio filtro, perché la copertura mediatica di questi incontri, più articolata ed esauriente, è comunque reperibile nelle testate menzionate prima.

 

Tocca quindi a Angelo Moretti prendere la parola e dopo i ringraziamenti afferma che in nome della resistenza il movimento MEAN è venuto a dire che non lasceremo gli ucraini soli, perché come società civile ci sentiamo chiamati a scendere in campo e se ancora non possiamo fermare la guerra, sappiamo però che possiamo far avanzare la pace insieme, con il sogno di un futuro di libertà, democrazia  e stato sociale.

 

Marianella Sclavi nel suo intervento ribadisce la necessità e l’urgenza di mettere all’ordine del giorno la trasformazione del governo europeo da governo di singoli stati a governo dei cittadini, verso l’originario ideale degli Stati Uniti d’Europa. “In alleanza con la società civile ucraina, il nostro movimento si propone di terremotare le resistenze al cambiamento, le miopie politiche, gli stili di pensiero bloccati al 19esimo secolo, e di costruire i presupposti per una Europa più forte, autonoma e autorevole in un mondo globalizzato.”

 

Poi si apre una sessione in cui la società civile di Act 4 Ukraine ci illustra la propria attività riguardo ad aiuti umanitari, ai musei dell’identità culturale ucraina in pericolo di spoliazione russa e naturalmente anche attività riguardanti l’informazione bellica.

 

All’ora di pranzo ci trasferiamo al museo nazionale e iniziano delle sedute in cui ci dividiamo per tavoli tematici a partecipazione italo-ucraina. Un tavolo si occupa di partecipazione politica, in vista di gemellaggi da attivare fra comuni italiani e ucraini; un tavolo affronta il tema del progettare azioni coordinate per il recupero dell’infanzia e dell’adolescenza traumatizzata; un tavolo si interroga su come poter far decollare il turismo appena ce ne saranno le condizioni; l’ultimo tavolo si impegna ad offrire assistenza per la catalogazione dei beni culturali, dell’arte contenuta nei musei, di come rendere accessibili le opere anche durante la guerra, magari virtualmente.

 

Usciamo dal lavoro impegnativo a tardo pomeriggio, e fuori piove. Ci sarà spazio per una visita all’aperto sotto gli ombrelli, e canteremo Chervona Kalina, il canto sul viburno, pianta evocativa che scioglie il cuore degli ucraini e che conosciamo bene anche noi italiani perché Tetyana ce l’ha messo in testa nelle lunghe ore di pullman. 

Poi tocca a Bella ciao. Cantiamo per farci coraggio, e spontaneamente, per un momento, attraversiamo un ponte sospeso fra le coscienze, siamo uniti nel respiro.

All’alba risuonerà l’allarme aereo in città e scenderemo ancora, come la notte precedente, nel rifugio del nostro hotel. Appena cessa sulle app dei telefoni il pericolo, si riparte per la Polonia, dentro quell’unione europea allargata a est, ma creata dai Trattati di Roma del 1957.

Europa che tanto ci arrovella, perché vorremmo salvarne l’anima e le persone. 

Ne parleremo ancora. Di questo e delle prossime tappe del progetto MEAN. 

Che non finisce.

 

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