fotografia di the Bruno/Germany da pixabay
Quella che seguirà non vuole essere una trattazione economica, basata su criteri rigidamente scientifici. Tale analisi spetta agli esperti di economia. Vuole solo essere una visione alternativa che cerca di verificare l’applicabilità del pensiero poundiano a alcuni temi di attualità economica, per proporne un’interpretazione non omologante. Se preferite, consideratela anche solo un divertissement.
Il capitalismo è il modello socio-economico che sembra vantare la maggiore longevità e resistenza: ha saputo superare tutta una serie di crisi di sistema che lo hanno riguardato, dalle guerre mondiali alla grande depressione del 1929, dalla guerra fredda al crack finanziario del 2008; ancora prima si era imposto rispetto a altri modelli anch’essi con lunghe propaggini fino alle soglie del secolo scorso, quali il modello feudale, il modello oligarchico, il modello imperialista. Rispetto a modelli antagonisti a lui contemporanei il capitalismo ha mostrato maggiore tenuta, di fatto omologandoli: il comunismo sovietico è crollato sotto il peso dell’indebitamento, della scarsa produttività dell’impostazione collettivistica, oltre che per l’assenza di un solido mercato interno, mentre il nazi-fascismo si è schiantato sulle macerie di un conflitto bellico, scientemente indotto come conseguenza di una sovrapproduzione militare e del rischio di un collasso interno del sistema in assenza di espansionismo di tipo predatorio. Lo stesso comunismo cinese, sopravvissuto a Internazionali e COMECON, è diventato un sistema misto fondamentalmente capitalistico, con partecipazione alle imprese private e controllo dirigistico da parte dello Stato: si sta imponendo come il modello di maggiore successo perché retto da un liberismo non costretto nei vincoli della formula democratico-liberale dell’Occidente.
La crisi pandemica impone nuove sfide al modello neoliberista, avendo di fatto indotto una crisi economico-finanziaria dovuta all’interruzione forzata delle attività produttive imposta dai lockdown, con contrazione del mercato interno, riduzione del reddito da lavoro e da impresa, stagnazione finanziaria. Il rimedio evocato dai più è un ritorno alla dottrina keynesiana che prevede solidi investimenti pubblici che possano detonare l’iniziativa privata, ma portando lo Stato a un innalzamento molto importante del proprio debito. La parola “debito” in particolare ricorre con una frequenza pervasiva, insistente. Contrarre un debito – sembra in sé autoevidente – presuppone l’esistenza di chi emetta crediti per il debitore, tramite un prestito. Qui entrano in gioco realtà come le banche centrali e le banche private che basano sul credito la propria attività prevalente, il loro profitto. Ma l’unica modalità con cui è possibile effettuare investimenti consiste nel contrarre debiti? Esistono altre strade?
Di tutt’altra opinione la dottrina poundiana che parte dal presupposto che uno Stato non ha necessità alcuna di indebitarsi, perché detiene in sé tutti gli strumenti per emettere moneta in assoluta libertà, senza ulteriori vincoli. Pound, nel suo pensiero economico, mette in discussione il ruolo prevalente della Banca Centrale come prestatore di ultima istanza, autonomo nelle politiche monetarie rispetto allo Stato, per restituire integralmente questa prerogativa stessa allo Stato, che resterebbe così immune da ricatti che lo portino a indebitarsi e quindi a dover improntare le sue scelte politiche a condizionamenti esterni, quelli di chi “lo strozza”. Non dimentichiamo che esiste una differenza sostanziale fra banconota (garantita da una banca centrale) e biglietto di Stato (garantito direttamente dallo Stato, come per i greenbacks della guerra civile americana); anche in Italia c’è stata una parziale coesistenza, seppure minima, dei due strumenti: si veda il caso del biglietto (non banconota) delle cinquecento lire in corso di validità dal 1966 al 1982, poi soppresso. I biglietti di Stato si basano unicamente sull’affidabilità dello Stato, sulla sua credibilità e la fiducia data dal cittadino; le banconote sulle garanzie bancarie. La moneta circolante oggi è di fatto rappresentata quasi esclusivamente da banconote, su cui si applica il signoraggio delle banche centrali; gli altri mezzi di pagamento (carte di credito, voucher e buoni spesa, ticket restaurant, etc.) di fatto fanno riferimento a banconote sottostanti. Nuove prospettive si stanno aprendo con le cripto-valute o le “monete private” – tema, questo, da discutere a parte.
Pound parla sempre e soltanto, a proposito del credito, di usura: il prestito a interesse ha per lui quest’accezione, perché si basa sull’idea del denaro che remunera sé stesso, mentre il denaro dovrebbe essere semplicemente un mezzo per regolare e incentivare il commercio di beni e servizi. La moneta-scambio dovrebbe allora essere distinta dalla moneta-risparmio perché le due sono legate a impieghi completamente diversi e non intercambiabili. Se la moneta-risparmio deve mantenere solido il proprio valore a tutela del cittadino, la moneta-scambio deve favorire la circolazione del denaro e quindi non può valere sine die. Pound giunge addirittura a ipotizzare una moneta-scambio che si deprezzi automaticamente a scadenze temporali predefinite; se ipotizzassimo un deprezzamento del valore nominale del 2,778% ogni mese, la moneta-scambio varrebbe zero dopo 36 mesi (3 anni) e questo spingerebbe il cittadino al suo impiego rapido e proficuo per innescare la macchina produttiva, impedendone di conseguenza l’accumulo improduttivo (o la speculazione).
Ha senso oggi parlare, come Pound, ancora di usura, ha senso ritenerla la causa principale delle crisi economico-finanziarie, e quindi il male da estirpare per avere una società più giusta? Oggi che il costo del denaro è addirittura negativo? Parrebbe un’evidente contraddizione, ma tale non è. Il tasso d’interesse negativo va in realtà a erodere la moneta-risparmio (non è il deprezzamento di cui parla Pound che dovrebbe valere per la sola moneta-scambio), mentre la moneta-scambio mantiene di fatto il proprio valore nominale intatto. Per ottenere moneta-scambio il cittadino che ne è privo deve comunque ricorrere al credito che avrà tassi positivi, negoziati secondo logiche di mercato; lo Stato che necessita di moneta per gli investimenti pubblici dovrà a sua volta richiedere credito ai cittadini o alle banche per finanziarsi. Il risultato netto è comunque l’indebitamento di Stato e di cittadini che, come aggravante, vedono svalutati i propri risparmi o beni. È notizia recente che molte banche, persistendo la politica dei tassi negativi, stanno rivedendo i contratti con i correntisti prevedendo clausole che, a seconda dei casi, consentono il recesso della banca nel caso di liquidità significative giacenti senza investimenti in essere (ossia in definitiva debiti o equivalenti) oppure il pagamento da parte dei correntisti di commissioni per il deposito delle loro liquidità. Siamo passati dalla banca che incentivava il correntista a versare i suoi risparmi, remunerandoli a difesa dall’inflazione, alla banca che chiede di essere remunerata dal correntista per accettare i suoi risparmi, che sono “un costo”.
È il debito che genera flussi finanziari, non il risparmio. Infatti sul debito è possibile la speculazione finanziaria, trarre profitti scommettendo sulle perdite, come avviene nel caso delle opzioni, dei derivati (questi ultimi talmente complessi nella loro formulazione matematica da risultare ingovernabili come dimostrato con la crisi dei mutui sub-prime del 2008). Il risultato finale è allora molto vicino a quello visionariamente ipotizzato da Pound: una società basata sul debito, necessario per alimentare il consumismo dall’obsolescenza rapida e la macchina onnivora del neocapitalismo che concentra le grandi ricchezze (quelle, di fatto, immuni dalla svalutazione) nelle mani di pochissimi. E il modello neoliberista, come riportato all’inizio, pare godere di ottima salute, anche oggi. Quasi sicuramente ne godrà anche domani.
(Ma, in fondo, Pound non era un economista e considerazioni di questo tipo se fatte da non-esperti, peggio ancora da uomini di lettere sono destituite di fondamento scientifico, sono solo elucubrazioni fantasiose o, peggio, errori evidenti. Sarà, ma l’autentica rivoluzione resta la scrittura, la sola che può emancipare il pensiero.)
Bibliografia di riferimento:
Ezra Pound, “Opere scelte”, a cura di Mary de Rachewiltz, I Meridiani Mondadori, X Ed., 2013
Ezra Pound, “ABC dell’economia”, Bollati Boringhieri, 1994
Ezra Pound, “Jefferson e Mussolini”, Edizioni Bietti, 2015
Ezra Pound, “Carta da visita”, Edizioni Bietti, 2012
Credo di poter condividere quasi tutte le argomentazioni, ben sostenute da un filo logico. Ci sono tuttavia un paio di osservazioni che possono essere offerte al dibattito (neppure io ho una “visione” scientifica dell’economia, che d’altronde scienza esatta non è). La distinzione tra banconota e biglietto di stato regge in periodi di deflazione o bassa inflazione, come quello in corso; temo non reggerebbe in caso di recupero vorticoso dell’inflazione. Il Venezuela ha banconote o biglietti di stato nel circolante? Non fa molta differenza. Accusiamo spesso la Germania di eccessiva prudenza nei confronti del rischio inflazione, ma nella loro memora collettiva è ben impresso il disastro della Repubblica di Weimar. Nel Medioevo al prestito al consumo provvedevano gli Ebrei, con tassi che le autorità ecclesiastiche definivano “di usura”. Tuttavia, quando il francescanesimo volle provare a percorrere la strada del “tasso zero”, se vogliamo visionaria e innovativa, salvo errori e dimenticanze da parte mia (non sto consultando nessun testo, quindi posso tranquillamente essere smentito) il tentativo fu coronato da scarso successo economico.
Complimenti anche per la panoramica degli altri articoli, che leggerò in séguito.
Grazie Raffaele, un’opinione come la tua è senz’altro interessante. Mi premeva evidenziare la differenza al lettore fra banconota e biglietto di Stato, nota a pochi, e anche parlare di signoraggio, altro tema spesso dimenticato. Chi vuole approfondirà. Pound era sicuramente una mente fine, che scelse a un certo punto del suo percorso intellettuale, di affrontare con evidenza il tema economico, ritenendolo IL TEMA e I Cantos lo testimoniano. L’articolo vuole proporre proprio una visione controcorrente che lascio agli economisti (quelli veri) giudicare, scevri però da condizionamenti di scuola o di parte. Di Pound restano la storia, la vita, l’arte: quest’ultima davvero immune da usura…
Anch’io sono rimasta colpita dalla tua riflessione, Fabrizio, e la contaminazione tra economia e poesia è uno di quei temi in cui è possibile lasciare il passo a Pound nei Cantos.
Grazie Nella, in una mia precedente riflessione che ho riportato anche altrove (non ricordo esattamente dove, a dire il vero) sostenevo anche che poesia e economia sono naturalmente inclini a osteggiarsi perché, a pensarci bene, la poesia è l’esatta contraddizione della legge della domanda e dell’offerta; si dà in sé, limpidamente. Poi c’è chi, come Pound, può fare dell’economia l’ossatura di un poema, trovando forse in questa contraddizione l’unica possibilità di scrittura di una vera epica contemporanea, non rivolta al passato.
Ottima la riflessione sulla poesia come esatta contraddizione della legge della domanda e dell’offerta.
È innegabile però che i cosiddetti meccanismi di mercato tendano sempre più a far percepire le singole individualità non come persone ma come soggetti capaci di potenziali consumi (e quindi a loro volta oggetti).
Purtroppo è così, caro Vincenzo: la parola d’ordine è il consumo, l’incremento delle vendite e del PIL. Sarebbe il caso di aprire davvero una riflessione intellettualmente onesta sulla “felicità delle decrescita” se questa viene associata a misure serie sulla tutela dell’ambiente, della cultura, della demilitarizzazione, della fratellanza e del rispetto reciproco fra i popoli. A scrivere di certi temi, spesso ci si sente Thomas More.
L’usura è uno dei nodi centrali ideologici e poetici di Ezra Pound e accomuna il poeta americano a Dante Alighieri. Sembra che chi tocchi l’argomento abbia una brutta sorte: Dante esiliato e condannato a morte in contumacia, Ezra, esposto a fine guerra in una gabbia a Pisa e poi rinchiuso in un ospedale psichiatrico. Il tema è attualissimo: come accumulare denaro senza attività, ma contando esclusivamente sul fattore tempo che nella società medievale si diceva potesse appartenere solo a Dio. Nel Medio Evo era un tempo lungo che arricchiva chi prestava a usura, oggi tutto si esercita nel colpo d’occhio istantaneo. Comprare, vendere, in un istante. Gli squali individuano il boccone, mordono e inghiottono. Tanti pesciolini invidiosi dalla facilità del guadagno, cercano rovinosamente di imitarli. Chissà come come Dante e Pound avrebbero giudicato e scorticato poeticamente gli attuali magnati della Finanza! Sul discorso della moneta-scambio di cui parla Fabrizio sono pienamente d’accordo ed esistono varie piccole comunità sparse per il mondo che ne fanno uso. Il problema è applicare questo sistema a livello statale e poi planetario.
Piccoli appunti-questioni, forse stupidi, visto che non m’intendo molto di economia. Tu, Fabrizio, metti il nazifascismo tra i modelli antagonisti del capitalismo, insieme al comunismo sovietico; ma il capitalismo era del tutto imperante e portante nell’economia fascista e nazista, per quello che ne so io. O no? Quando parli, poi, no, lui, Pound, parla di moneta-scambio che si deprezza automaticamente fino ad arrivare a circa il 33% annuo, mi pare che entriamo nel caso dell’inflazione. Mi ricordo che negli anni ’70 c’era il dramma dell’inflazione (non ne so il valore, ma credo inferiore al 33%) e dei prezzi che le correvano dietro. Ti si svalutavano i soldi in mano, nel tempo che entravi in un negozio, prendevi qualcosa e arrivavi alla cassa. Un mio amico economista, a cui ho chiesto, mi dice che, se ci fosse un’inflazione così, provocherebbe come allora la fuga dei capitali all’estero, senza che lo stato riuscisse a bloccarla. Poi cesserebbero gli investimenti interni ed esteri. Molti, anche, si butterebbero a comprare merci di grande valore come oro e beni di lusso, ecc., per avere beni più stabili; comunque tutti si metterebbero a scambiare la moneta svalutata e svalutantesi con cose, merci, facendo scattare i prezzi verso l’alto molto di più della percentuale di svalutazione della moneta. Infine, tu dici che il modello neoliberista “pare godere di ottima salute”, ma secondo me sta emergendo un antagonista di inarrestabile successo: la Cina, che mette insieme il liberismo con una -diciamolo- vera dittatura senza democrazia. Non credo che si tratti dello stesso medesimo liberismo. Il liberismo ‘democratico’ – chiamiamolo così – è quasi incapace di crescita rispetto al liberismo di un sistema pressoché totalitario. Persino la Russia sembra avanzare alla conquista del mondo dopo che è finita sotto la dittatura di Putin. Il mio amico dice che è per l’alleanza di dittatura e intelligenza artificiale che quelle economie si stanno espandendo. Se certo non amavo il ‘vecchio capitalismo’, di sicuro questa nuova realtà, così aggressiva nella conquista (o tentativo di conquista) del mondo vecchio (Europa) e nuovo (Africa), mi spaventa enormemente, ‘via della seta’ e ‘via del gas’ in testa.
Nemmeno io, come scrivo, sono un economista; sono solo uno studioso e un lettore di Pound a cui tutto quanto riportato si riferisce, nella sostanza, mediato da una personale re-interpretazione. In merito al primo tema tenderei a distinguere modello politico da modello economico, anche se spesso, come nel periodo anni 20-40 del secolo scorso è accaduto, spesso vanno di pari passo: tutti e tre i principali sistemi citati (nazifascismo, democrazie liberali, comunismo sovietico) in realtà non hanno mai rinnegato totalmente proprietà e iniziativa privata (a parte il primo collettivismo leninista risultato fallimentare e quindi rimosso poi) e quindi un certo capitalismo più o meno diffuso, né tanto meno le regole monetarie tradizionali. Ai nostri giorni in cui praticamente ovunque si è imposto un regime economico neoliberista (anche la Cina non ne è immune, forse lo è Cuba, ma si tratta di realtà minore) questo non comporta necessariamente un sistema politico democratico o liberale; ci sono paesi neoliberisti che sono di fatto dittature o regimi autoritari. la Cina è una reale antagonista del modello neoliberista? Non mi pare del tutto vero… Il tentativo da parte di alcuni paesi di avere un ruolo egemonico a livello economico non è nuovo; è sempre esistito e sempre esisterà.
Cara Milena, n merito al tema svalutazione e deprezzamento della moneta-scambio ipotizzato da Pound è bene distinguere i due aspetti. Il tema della svalutazione è stato ben spiegato e descritto ineccepibilmente nel tuo commento: questo fenomeno può innestarsi (e si è innestato da sempre) anche nel caso di una moneta che mantenga sempre fisso il proprio valore nominale (quello che c’è scritto sulla banconota: ad esempio che la banconota vale 100 euro). Se aumentano i prezzi ovviamente la banconota permetterà di acquistare meno beni e perderà quindi valore la valuta di riferimento. A ciò si può rimediare con politiche specifiche di tipo governativo, legislativo, sindacale, interventi della Banca Centrale, etc… Ciò di cui parla Pound è ben altro e non esclude il meccanismo inflattivo. Pound è molto più radicale: ritiene che l’unico modo per evitare che si accumulino ricchezze esagerate nelle mani di pochi è che la moneta abbia una “scadenza”, cioè dopo un certo numero di mesi perda valore fino a annullarsi; in tal modo tutti sarebbero costretti a rimetterla nel circolo dell’economia evitando accentramenti indebiti di ricchezza e portando di fatto a una redistribuzione. Certo, la redistribuzione potrebbe avvenire anche in altra forma: ad esempio un fisco più equo, patrimoniali, iniziative statali ad hoc: questa è la strada perseguita oggi, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
Be’,stamani alla radio ho sentito che il G8 occidentale si è schierato per la prima volta con una certa forza contro Cina e Russia per la violazione dei diritti civili e , mi pare di aver capito, le mire espansionistiche. Il che è prova provata che il neoliberismo di qua non è uguale a quello di là. A meno che il neoliberismo di qua, per riuscire meglio, non provi la via della dittatura. Si stanno riaffermando le destre estreme. Sempre d’adesso la vittoria della donna di destra (mi sfugge il nome) in Spagna. Solo io sono preoccupata?
Certo, cara Milena, hai ragione: per fortuna il neoliberismo occidentale si basa sull’idea di una società democratica, conquista di decenni di lotte e di battaglie, anche sindacali. Mi auguro che tutti noi sappiamo difendere queste conquiste, non trasformarle in merce negoziabile, in merce di scambio.
Un poeta può avere una visione d’insieme e lampi di genio che uno specialista, proprio perchè autorecluso in una specie di gabbia e asfissia culturale, può non avere…Conosco poco Pound ed ancor meno, anzi per niente, la sua teoria economica che trovo invece molto interessante, il discorso della moneta ha un valore etico e credo che Pound parta da questo presupposto, il denaro deve servire alla colettività e non alla speculazione o ad arricchire una parte a spese del tutto, il baratto, in quanto si basava sui bisogni soddisfatti reciprocamente rispondeva a questi principi etici, la moneta e il biglietto di Pound rispondono a questa esigenza etica facendo i conti con la complessità del mondo di oggi. E trovo questa sua idea semplicemente geniale oltre che corretta eticamente. Sempre se ho capito bene. In ogni caso ti ringrazio Fabrizio per l’interessantissimo articolo, molto stimolante