NEOLIBERISMO E CRISI PANDEMICA: UNA LETTURA MONETARIA IN CHIAVE POUNDIANA di Fabrizio Bregoli

fotografia di the Bruno/Germany da pixabay

Quella che seguirà non vuole essere una trattazione economica, basata su criteri rigidamente scientifici. Tale analisi spetta agli esperti di economia. Vuole solo essere una visione alternativa che cerca di verificare l’applicabilità del pensiero poundiano a alcuni temi di attualità economica, per proporne un’interpretazione non omologante. Se preferite, consideratela anche solo un divertissement.
Il capitalismo è il modello socio-economico che sembra vantare la maggiore longevità e resistenza: ha saputo superare tutta una serie di crisi di sistema che lo hanno riguardato, dalle guerre mondiali alla grande depressione del 1929, dalla guerra fredda al crack finanziario del 2008; ancora prima si era imposto rispetto a altri modelli anch’essi con lunghe propaggini fino alle soglie del secolo scorso, quali il modello feudale, il modello oligarchico, il modello imperialista. Rispetto a modelli antagonisti a lui contemporanei il capitalismo ha mostrato maggiore tenuta, di fatto omologandoli: il comunismo sovietico è crollato sotto il peso dell’indebitamento, della scarsa produttività dell’impostazione collettivistica, oltre che per l’assenza di un solido mercato interno, mentre il nazi-fascismo si è schiantato sulle macerie di un conflitto bellico, scientemente indotto come conseguenza di una sovrapproduzione militare e del rischio di un collasso interno del sistema in assenza di espansionismo di tipo predatorio. Lo stesso comunismo cinese, sopravvissuto a Internazionali e COMECON, è diventato un sistema misto fondamentalmente capitalistico, con partecipazione alle imprese private e controllo dirigistico da parte dello Stato: si sta imponendo come il modello di maggiore successo perché retto da un liberismo non costretto nei vincoli della formula democratico-liberale dell’Occidente.
La crisi pandemica impone nuove sfide al modello neoliberista, avendo di fatto indotto una crisi economico-finanziaria dovuta all’interruzione forzata delle attività produttive imposta dai lockdown, con contrazione del mercato interno, riduzione del reddito da lavoro e da impresa, stagnazione finanziaria. Il rimedio evocato dai più è un ritorno alla dottrina keynesiana che prevede solidi investimenti pubblici che possano detonare l’iniziativa privata, ma portando lo Stato a un innalzamento molto importante del proprio debito. La parola “debito” in particolare ricorre con una frequenza pervasiva, insistente. Contrarre un debito – sembra in sé autoevidente – presuppone l’esistenza di chi emetta crediti per il debitore, tramite un prestito. Qui entrano in gioco realtà come le banche centrali e le banche private che basano sul credito la propria attività prevalente, il loro profitto. Ma l’unica modalità con cui è possibile effettuare investimenti consiste nel contrarre debiti? Esistono altre strade?
Di tutt’altra opinione la dottrina poundiana che parte dal presupposto che uno Stato non ha necessità alcuna di indebitarsi, perché detiene in sé tutti gli strumenti per emettere moneta in assoluta libertà, senza ulteriori vincoli. Pound, nel suo pensiero economico, mette in discussione il ruolo prevalente della Banca Centrale come prestatore di ultima istanza, autonomo nelle politiche monetarie rispetto allo Stato, per restituire integralmente questa prerogativa stessa allo Stato, che resterebbe così immune da ricatti che lo portino a indebitarsi e quindi a dover improntare le sue scelte politiche a condizionamenti esterni, quelli di chi “lo strozza”. Non dimentichiamo che esiste una differenza sostanziale fra banconota (garantita da una banca centrale) e biglietto di Stato (garantito direttamente dallo Stato, come per i greenbacks della guerra civile americana); anche in Italia c’è stata una parziale coesistenza, seppure minima, dei due strumenti: si veda il caso del biglietto (non banconota) delle cinquecento lire in corso di validità dal 1966 al 1982, poi soppresso. I biglietti di Stato si basano unicamente sull’affidabilità dello Stato, sulla sua credibilità e la fiducia data dal cittadino; le banconote sulle garanzie bancarie. La moneta circolante oggi è di fatto rappresentata quasi esclusivamente da banconote, su cui si applica il signoraggio delle banche centrali; gli altri mezzi di pagamento (carte di credito, voucher e buoni spesa, ticket restaurant, etc.) di fatto fanno riferimento a banconote sottostanti. Nuove prospettive si stanno aprendo con le cripto-valute o le “monete private” – tema, questo, da discutere a parte.
Pound parla sempre e soltanto, a proposito del credito, di usura: il prestito a interesse ha per lui quest’accezione, perché si basa sull’idea del denaro che remunera sé stesso, mentre il denaro dovrebbe essere semplicemente un mezzo per regolare e incentivare il commercio di beni e servizi. La moneta-scambio dovrebbe allora essere distinta dalla moneta-risparmio perché le due sono legate a impieghi completamente diversi e non intercambiabili. Se la moneta-risparmio deve mantenere solido il proprio valore a tutela del cittadino, la moneta-scambio deve favorire la circolazione del denaro e quindi non può valere sine die. Pound giunge addirittura a ipotizzare una moneta-scambio che si deprezzi automaticamente a scadenze temporali predefinite; se ipotizzassimo un deprezzamento del valore nominale del 2,778% ogni mese, la moneta-scambio varrebbe zero dopo 36 mesi (3 anni) e questo spingerebbe il cittadino al suo impiego rapido e proficuo per innescare la macchina produttiva, impedendone di conseguenza l’accumulo improduttivo (o la speculazione).
Ha senso oggi parlare, come Pound, ancora di usura, ha senso ritenerla la causa principale delle crisi economico-finanziarie, e quindi il male da estirpare per avere una società più giusta? Oggi che il costo del denaro è addirittura negativo? Parrebbe un’evidente contraddizione, ma tale non è. Il tasso d’interesse negativo va in realtà a erodere la moneta-risparmio (non è il deprezzamento di cui parla Pound che dovrebbe valere per la sola moneta-scambio), mentre la moneta-scambio mantiene di fatto il proprio valore nominale intatto. Per ottenere moneta-scambio il cittadino che ne è privo deve comunque ricorrere al credito che avrà tassi positivi, negoziati secondo logiche di mercato; lo Stato che necessita di moneta per gli investimenti pubblici dovrà a sua volta richiedere credito ai cittadini o alle banche per finanziarsi. Il risultato netto è comunque l’indebitamento di Stato e di cittadini che, come aggravante, vedono svalutati i propri risparmi o beni. È notizia recente che molte banche, persistendo la politica dei tassi negativi, stanno rivedendo i contratti con i correntisti prevedendo clausole che, a seconda dei casi, consentono il recesso della banca nel caso di liquidità significative giacenti senza investimenti in essere (ossia in definitiva debiti o equivalenti) oppure il pagamento da parte dei correntisti di commissioni per il deposito delle loro liquidità. Siamo passati dalla banca che incentivava il correntista a versare i suoi risparmi, remunerandoli a difesa dall’inflazione, alla banca che chiede di essere remunerata dal correntista per accettare i suoi risparmi, che sono “un costo”.
È il debito che genera flussi finanziari, non il risparmio. Infatti sul debito è possibile la speculazione finanziaria, trarre profitti scommettendo sulle perdite, come avviene nel caso delle opzioni, dei derivati (questi ultimi talmente complessi nella loro formulazione matematica da risultare ingovernabili come dimostrato con la crisi dei mutui sub-prime del 2008). Il risultato finale è allora molto vicino a quello visionariamente ipotizzato da Pound: una società basata sul debito, necessario per alimentare il consumismo dall’obsolescenza rapida e la macchina onnivora del neocapitalismo che concentra le grandi ricchezze (quelle, di fatto, immuni dalla svalutazione) nelle mani di pochissimi. E il modello neoliberista, come riportato all’inizio, pare godere di ottima salute, anche oggi. Quasi sicuramente ne godrà anche domani.
(Ma, in fondo, Pound non era un economista e considerazioni di questo tipo se fatte da non-esperti, peggio ancora da uomini di lettere sono destituite di fondamento scientifico, sono solo elucubrazioni fantasiose o, peggio, errori evidenti. Sarà, ma l’autentica rivoluzione resta la scrittura, la sola che può emancipare il pensiero.)

Fabrizio Bregoli

Bibliografia di riferimento:

Ezra Pound, “Opere scelte”, a cura di Mary de Rachewiltz, I Meridiani Mondadori, X Ed., 2013
Ezra Pound, “ABC dell’economia”, Bollati Boringhieri, 1994
Ezra Pound, “Jefferson e Mussolini”, Edizioni Bietti, 2015
Ezra Pound, “Carta da visita”, Edizioni Bietti, 2012

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