SCRITTURE: “Bohémiens en voyage” di Charles Baudelaire, traduzione e nota di Fabrizio Bregoli

(immagine tratta da Gypsypedia, per gentile concessione di Angelo Arlati)

Bohémiens en voyage

La tribu prophétique aux prunelles ardentes
Hier s’est mise en route, emportant ses petits
Sur son dos, ou livrant à leurs fiers appétits
Le trésor toujours prêt des mamelles pendantes.

Les hommes vont à pied sous leurs armes luisantes
Le long des chariots où les leurs sont blottis,
Promenant sur le ciel des yeux appesantis
Par le morne regret des chimères absentes.

Du fond de son réduit sablonneux, le grillon,
Les regardant passer, redouble sa chanson;
Cybèle, qui les aime, augmente ses verdures,

Fait couler le rocher et fleurir le désert
Devant ces voyageurs, pour lesquels est ouvert
L’empire familier des ténèbres futures.

 

 

Zingari in viaggio

 

La tribù dei profeti dalle pupille ardenti

con i suoi piccoli in spalla, s’è messa ieri

in viaggio, sempre pronta a offrire ai loro fieri

appetiti il tesoro di mammelle turgescenti.

 

Gli uomini a piedi nelle loro armi lucenti

seguono i carri dove sono rannicchiati

i loro parenti, volgendo al cielo occhi gravati

dal rimpianto cupo di chimere assenti.

 

Dalle sue ridotte sabbiose, guardandoli venire

il grillo, dal fondo, raddoppia il suo frinire;

Cibele, che li ama, fa rinverdire le colture

 

fa zampillare la roccia e fiorire il deserto

davanti a questi viaggiatori, ai quali è aperto

l’impero familiare delle tenebre future.

 

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La poesia di Baudelaire, composta verosimilmente nel 1851, ha come fonte primaria “un’incisione di Jacques Callot (1594-1635), variamente intitolata, ma che mostra un gruppo di zingari in viaggio e il distico: Ces pauvres gueux pleins de bonadventures / Ne portent rien che de Choses futures” [1]. Baudelaire ricorre dunque allo strumento dell’ecfrasi, combinata con la suggestione del distico, per giungere a una rivisitazione psicologica e simbolica, molto personale, del materiale di partenza. Occorre allora saper leggere oltre il livello letterale del testo, comprendere altrimenti rispetto al piano descrittivo o narrativo.

Protagonisti assoluti sono i bohémiens nell’atto del viaggio, tanto caro come tema all’autore, rappresentati sia con dettagli realistici sia istituendo relazioni che astraggono il dato concreto, lo elevano appunto a simbolo. Nella poesia colpisce l’immedesimazione evidente dell’autore con la figura dei bohémiens di cui si offre un ritratto di ardente vitalità, di capacità autentica di vivere in pienezza l’esistenza, di adesione spontanea e sincera alla natura (qui messa in evidenza con il ricorso al mito di Cibele, la dea madre).

Il bohémien è inoltre un alter ego del poeta (come evidenziato bene in [1]), non diversamente dal celebre albatros, e condivide con il poeta la sua alterità rispetto alle convenzioni della società; come il poeta, il bohémien è oggetto di incomprensione e di esclusione perché la sua vita e la sua “vista” vanno oltre le apparenze, sanno istituire rapporti nuovi e spiazzanti. Proprio come i bohémiens che sono indicati, fin dall’apertura della poesia, come “tribu prophétique” – concetto poi ribadito con le espressioni “chimères absentes” e “ténèbres futures” – il poeta rivendica il proprio ruolo visionario, in una concezione orfica di fondo che si sostanzia nella figura appunto esemplare del bohémien, che ha familiarità nel saper dominare ciò che è ignoto, ossia ciò che attende di rivelarsi e prendere forma nel futuro, come precisato in [1].

La composizione è dunque quanto di più lontano si possa concepire rispetto a un quadro realistico o a una resa bozzettistica, ma è invece una figurazione simbolica e misterica che istituisce una sostanziale identificazione fra ragioni e compiti del poeta e spirito profondo della comunità dei “bohémiens”, liberata quindi da ogni pregiudizio o concezione stereotipata, per essere invece rivalutata come simbolo di libertà e di autenticità: un messaggio quindi di per sé di rottura per il proprio tempo, incredibilmente contemporaneo. Non è quindi lo spirito d’avventura proprio del viaggio a dominare questa poesia, ma la rappresentazione figurata di un cammino iniziatico che trova nell’accoglienza del diseredato e dell’escluso il perno della sua azione, la fattibilità stessa della parola poetica: idea di una umanità ritrovata, senza muri.

Nella traduzione si è scelto, con qualche inversione rispetto all’ordine originale dei versi e con qualche forzatura semantica che viola la resa letterale (si vedano i vv.4, 10, 11 su tutti), di mantenere la struttura delle rime e una lunghezza abbastanza omogenea dei versi (da 12 a 16 sillabe), senza però una rigidità metrica auto-imposta: scelta ovviamente criticabile, ma sempre condotta nella consapevolezza dell’impossibilità, nel passaggio da una lingua all’altra, di trasporre con fedeltà inattaccabile, a livello di significato e significante, la forma originale. Questa traduzione è un “servizio” reso a chi non conoscendo la lingua francese può fruire la poesia solo nella sua versione in italiano; per tutti gli altri vale l’indicazione di riferirsi esclusivamente all’originale, inarrivabile e insostituibile per definizione.

 

Fabrizio Bregoli

 Bibliografia:

[1] Baudelaire – Tutte le poesie e i capolavori in prosa”, a cura di Massimo Colesanti, Newton Compton, 1998

 

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