DUE MADRI, riflessioni su una raccolta poetica di Raffaela Fazio

Raffaela Fazio, Un’ossatura per il volo, Raffaelli Editore, 2020

Fui straziato in giovane età dalla poesia di Edgar Lee Masters che racconta le ultime ore del bambino Johnnie Sayre. Fui maciullato nell’anima come la carne viva della sua gamba, presa insieme alla vita da “the remorseless wheel of the engine”, “la ruota senza rimorso della locomotiva”. Il rimorso è il tema centrale della composizione. Io, figlio per nulla disobbediente per mancanza di occasioni, di relazione, di semplici parole scambiate, mi riconoscevo in quell’altro che si rivolge al padre timoroso di non ottenere il suo perdono, prima della morte, imprevista come un gioco notturno.

Se penso a poeti padri mi prende subito una sensazione di perdita, a cui si può rimediare semmai con rigide prescrizioni: Carducci e il figlioletto Dante, rievocato in “Pianto Antico”, il lieve Saba che terribilmente, se si pensa a ciò che accadrà per la sua gente, paragona la sua bambina “a quella scia/ch’esce azzurra dai tetti e il vento sperde”, i consigli di Hikmet e la precettistica morale di Kipling.

Vorrei invece in questa sede parlare di poesia a partire da una madre e dai rapporti stabiliti in un ampio arco di tempo con i suoi due giovani figli. La madre, poeta sensibile e raffinata, è Raffaela Fazio e la raccolta di poesie in cui si srotola sino all’oggi il filo di versi amorevoli e preoccupati, ma anche forti e consapevoli, è “Un’ossatura per il volo”, titolo di pe sé assai forte, su cui mi soffermerò più tardi. La prima impressione  è che un padre colga in fondo l’attimo, l’intervallo; la madre la persistenza e l’evoluzione.

Raffaela Fazio ha deciso di ripubblicare poesie già presenti in altre opere proprio per dare ragione del rapporto costante avuto con Juliette e David, ma anche del mistero prezioso che nel corso degli anni  distingue e stacca la creazione da ciò che si è creato, nella crescita di consapevolezza rispetto all’individualità e alla libertà dell’altro, anche se ci è carnalmente affine. L’ultima parte del libro è una piccola collezione di inediti, “Birdwatching”, come se ormai il distacco dal nido si fosse compiuto e l’osservazione del volo nella vita prevedesse una postazione prevista  e uno sguardo binoculare, anche se non impermeabile a fremiti di emozione.

Non riesco/ con voi a tenere il passo./Ma forse insegna questo/ la distanza:/vedere dove meno la si attende/la stella/ormai priva di materia/scoprire/diversa, sempre viva/una presenza.( Diversa, sempre viva, p.75, vv.8-17)

Ma per arrivare al presente Raffaela Fazio non sceglie di scandire la crescita attraverso precise tappe cronologiche e così le poesie del 2008 possono essere poste in pagine successive a quelle del 2017, in un album di fotografie messe in fila per riconoscimenti di stati d’animo e rivelazioni di piccoli e incontenibili misteri, in un ordito bergsoniano per cui si proceda a intermittenze di sensibilità. La sicurezza del riconoscimento s’intreccia alla sorpresa dell’alterità, in modi bilanciati in cui si alterna la paura della perdita e il coraggio di scoprire i doni che il kairos, l’istante irripetibile vissuto dai piccoli, ci può offrire.

Un graffio la picca/ che brucia sfrontata./Corruccio. Litigio./E un tempo di scarto./In mezzo la porta./Ma tu/che hai quattr’anni/ritorni. E sei nuova. Di sole./Io aspetto che spiova/coi piedi bagnati/ché è lenta la stizza a passare./Da te così devo imparare/il colpo di tacco, il sorpasso/che dice:/rinasci/qui, adesso.(L’uomo Vecchio, p.65)

Il principio evangelico enunciato nella prima poesia della raccolta, “non c’è altra conoscenza che l’amore”, agisce in modo tale che non ci sia il minimo distacco tra l’accudire e il trovare spazio per la poesia e che anzi, proprio nel compito di crescere i figli, ci sia la possibilità di trovare straordinari spunti di ispirazione, sino a quella “parola incarnata” evocata da un verso di Dante e ritrovata nei giochi esuberanti e nelle risa dei piccoli.

Il miracolo.

Eccolo di nuovo. Tra pinnacoli

Di voci di bambini

E una babele di visini arrossati

Si è incarnata la parola.

(Termine fisso d’eterno consiglio, p.18, vv.1-5)

Nella relazione fra madre e figli spesso si avverte il limite della separazione, indicato come ponte levatoio, soglia fra sonno e veglia o il tenero e misterioso spazio fra nuca e colletto, dove si annida sia la paura del nulla, che uno spazio insondabile di libertà. In questa raccolta la tenerezza non diventa mai retorica, ma le poesie attestano piuttosto il diritto di un’individualità indipendente anche nel periodo infantile e illustrano l’attenzione scrupolosa della madre scrittrice alle azioni che dichiarano questa indipendenza, anche se accompagnata con cura parentale. Stilisticamente i versi sono brevi, piccoli appunto, e i numerosi enjambement è come se mostrassero la volontà di far scendere Juliette e David a piccoli passi da una scala che si suppone ripida o piuttosto la loro vivace e intrattenibile rapidità negli spostamenti.  Si è di fronte a un “ossimoro del vero”, come si coglieva nella composizione sopra indicata, e in una poesia del 2008, è appunto questa figura retorica a dominare il componimento.

Quando stai nel mondo/così larghe sono le maglie/ che tutto ha un posto:/ perfino il vento dentro uno zampillo/dentro il pianto il riso/e in pieno giorno/un applauso di luna,(p.34)

Ma ritorna anche l’esigenza di una vicinanza animale, come quella sintetizzata da Giovanni Segantini nel dipinto “Le due madri”, dove nello stesso spazio trovano accoglienza la madre umana con il bambino fra le braccia e la mucca che vigila sul sul suo vitello.  Si ricerca così il tepore dei corpi quando nel letto ci si addormenta tutti assieme e i sensi primordiali, il tatto, l’olfatto, oppongono per un attimo la loro rete alla separazione minacciosa del sonno.

Vi annuso

oltre il fossato

largo mille e un passo.

Dolce è il saccheggio

della notte

ma il ponte levatoio

se mai s’abbassa

arriva a quella me che ha barattato

per una scorciatoia

carne e ossa.

(La notte vi ruba, p.62)

La cristallizzazione della figura della Madre di ogni madre, Maria, prevede anche il destino di osservare in disparte la crescita del Figlio e l’accettazione della sua libertà di scelta verso un destino imprevedibile, maternamente percepito come minaccioso. La vocazione più grande per la madre, al di fuori di ogni rivendicazione di genitorialità che può sfociare nell’attaccamento morboso e nel possesso, è collaborare, imparando dalle uccelle del cielo, a costruire un’efficace ossatura per il volo.

Ci appostiamo.

Voi tra i giunchi

io su un piano.

E’ dal fianco del monte

ch’io aspetto

il levarsi di un segno.

Voi studiate,

lo stagno, chi scende

a beccare l’insetto.

E poi a sera

ci scambiamo gli appunti.

O restiamo in silenzio.

 

Forse un giorno

quei voli diversi

bucheranno la linea del tempo

 

fino a noi nuovamente.

E noi tre a guardarli

a guardarci distanti

ma uniti

su uno stesso orizzonte.

(Birdwatching, p.84)

                                                                                                                                 

                                                                                                                                      Paolo Gera

 

Un'ossatura per il volo

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