casamatta perché

Nel 1993, a due anni dall’apertura dell’Albania al mondo e dopo la scoperta della presenza, sul suo territorio, di centinaia, migliaia di bunker/casematte, un’amica, Giovanna Gentilini, artista modenese, cominciò a dipingere di rosa sul litorale di Qeparo le cupole delle casematte e a trasformarle in grandi seni femminili protesi nella luce. Altri li convertirono in bar, in ricoveri per animali, casette in affitto, cappelle per ritornare a pregare. Molti ancora sono lì, arrugginiti e diroccati, a testimoniare la follia di un dittatore, Enver Hoxha, e a caratterizzare una terra che fu l’antica Illiria e poi regno di Pirro, centro culturale e religioso bizantino, infine sottomesso alla sovranità dell’Impero Ottomano.
In quella terra, che quasi sfiora il tacco d’Italia, le casematte si mostrano nella loro insensatezza, come segni di una forza offensiva e difensiva che implode in se stessa, si sbriciola e lascia resti che possono essere usati, dipinti, trasportati, convertiti, abbandonati o trasformati in prolifiche fungaie.
A questo punto, per questo uso, la casamatta è prezioso segno, molto femminile, libero dalla pesante artiglieria, cumulo leggero che affiora e sollecita pensiero, apre all’inventiva e consente di generare ed esplorare orizzonti.

Nella Roveri

 

Chissà perché, cercando un titolo rappresentativo per il nostro blog, abbiamo avuto la fulminazione di questo “casamatta”! Giorni dopo ha iniziato a frullarmi per la testa una canzoncina per bambini di Sergio Endrigo, con il testo di Vinicius de Moraes. Era una canzone che odiavo cordialmente ai tempi della sua infestazione in televisione e nelle scuole materne, ma che poi ho saputo apprezzare per il suo allegro scombinamento anarchico: «non si poteva entrarci dentro perché non c’era il pavimento» e poi il famoso refrain:« ma era bella, bella davvero, in Via dei Matti numero zero.»
Mi si è allora parato davanti agli occhi questo modello di casa libera, semovente, nomade…succederà così, che siccome le severe norme sanitarie ci costringono a chiuderci nei nostri appartamenti, saranno le case a tirare fuori le gambe e a spostarsi per le vie del mondo o addirittura a volare, come nella fantasia architettonica di Malevič.
La casa prevede, soprattutto di questi tempi, una previsione di chiusura e un rifiuto obbligato all’ospitalità. Ma una casamatta disobbedisce e se ne va in giro, osserva, si interessa, chiede, partecipa ai problemi degli altri, diventa uno squat, una scuola e improvvisamente oltre alle gambe
gli spuntano anche le mani per offrire solidarietà. In opposizione al significato originario non si arrocca e non ospita armi bombardanti, la casamatta, se non gli ordigni letterari che deflagrano per protestare contro ogni costrizione di pensiero ed espressione. È una casa indipendente, ma non isolata, è un dentro che si proietta fuori, è una casamatta che sente voci, si ricorda di figure e di lotte, immagina al di là del perpendicolo delle sue mura le linee e gli spazi di un’altra realtà legata al futuro e all’utopia.

Paolo Gera

 

Pensare a “casamatta” come nome per un sito dedicato alla letteratura e all’espressione artistica in genere è un’evidente provocazione: ci ricorda la vacuità, dimostrata dall’evidenza storica e filosofica, di ogni scelta che si basi sulla barricata come strumento di difesa, sulla fortificazione e l’isolamento come mezzo di sopravvivenza o come stile di vita, sull’inutilità di qualunque Vallo Atlantico, linea Maginot o Fortezza Bastiani.
Casamatta, allora, come opera di demolizione e di sgretolamento di ogni frontiera, barriera o muro, per consentire una reale apertura al mondo. Casamatta come varco che accolga il mondo e gli permetta di insinuarsi, attraverso l’osmosi fra le diverse discipline del sapere, per poterne cogliere il minimo comun denominatore, per metterle a fattore comune.
È certo un’impresa contro-corrente e eversiva quella che ci anima, ma non per questo irrazionale o irragionevole: si tratta di osservare il mondo depurandolo da tutti gli schematismi, le convenzioni, gli obblighi, sapendo che, per quanto nessuno sia “incolpevole” (Montale), nessuno può sentirsi escluso in questa ricerca. Casamatta come strumento di aggregazione, di dialogo aperto e di dibattito, per sollevare nuove domande, per non smettere mai di interrogarci sulla nostra imperfezione e sulla nostra fragilità, in quanto uomini.

Fabrizio Bregoli

 

La parte ‘matta’ della casamatta mi piace molto, perché di per sé significa una libertà rispetto agli schemi, al simbolico, alle consuetudini attuali, senza programmarne peraltro un rifiuto obbligato, lo scontro inevitabile. E’ una libertà che ho imparato a conoscere ed osare ‘da vecchia’. Quando non mi è stato più necessario tenere in ordinati cassetti i saperi che sapevo ben catalogati, etichettati, ordinati secondo la regola che era automaticamente anche certezza. Quando ho sentito di essere io al telaio a dirigere la tela, le connessioni, gli intrecci, col piacere di impastare un sapere che aveva lo scopo di fecondare, di fare nuovomondo – almeno di provarci, e da donna. Per questo mi piace anche l’altra parte, la casa, che significa per me accoglienza e cura. Confronto. Disponibilità. Nei limiti, certamente, di una casamatta che è anche disposta a difesa e insieme a offesa, se là fuori c’è ancora chi violenta, uccide, discrimina, fa del male. Senza che la funzione offensiva e difensiva diventi mai, a sua volta, male e violenza. Non è troppo difficile, né utopico, né faticoso. Se si vuole davvero provare. E non si è soli, ma plurali.

Milena Nicolini

 

casamatta come identità lavorata, aperta, attenta, onesta, eretica, che abbia il significato della cura, del recupero, del plurale, della nonviolenza, del pensiero femminile e femminista. L’unità della parola accorda energie profonde: coniuga l’ombra, il riparo, il nido, il lavorìo umile e appassionato, con l’accezione dell’arcano maggiore, contrassegnato dal numero 0, e tradotto al femminile: la follia pura che permette di affacciarsi alla vita di nuovo per ricrearla.

Anna Maria Farabbi

 

 

Please follow and like us: