UNA CULTURA SENZA NAZIONALISMI a cura della redazione

Se in obbedienza a un malinteso senso dello schieramento, si applicano alle cultura misure cautelative non necessarie,  si traccia una linea pericolosa che equivale alla frontiera che sulla cartina geografica divide nazione da nazione. Ma la cultura, nella fattispecie la letteratura, è un territorio sconfinato. E’ una zona veramente senza limiti dove circolano liberamente pensieri ed emozioni. Impedire che per una guerra in corso si svolgano attività di studio riguardanti i veicoli di quelle emozioni e  di quei pensieri, da qualunque parte del mondo essi arrivino, rappresenta un’azione pregiudiziale e ottusa. Se queste censure si applicano in maniera retroattiva a scrittori di epoche lontane dalla nostra, ma colpevoli di appartenere ad una delle nazioni in guerra, si precipita nel pozzo senza fondo dell’assurdo e della stupidità. Un tiranno non corrisponde al proprio popolo e tanto meno alla sua cultura passata.

Per la generazione dei cosiddetti ‘figli del miracolo economico’, a cui i redattori di casamatta appartengono, i classici russi erano una fonte di arricchimento spirituale straordinario e attraverso la loro scrittura quegli scrittori sono entrati nelle nostre coscienze e nelle nostre vite. Sto parlando di Puškin , Gogol’, Lermontov, Leskov, Gončarov  Dostoevskij, Tolstoj, Čechov, sino agli autori del Novecento, Bulgakov Pasternak, Achmatova e Cvetaeva. Gli studenti di oggi leggono meno libri di un tempo, è un dato di fatto, e a noi farebbe stare molto male sapere che, per un corso sospeso, un giovane possa pensare che Dostoevskij sia ideologicamente complice di una qualsiasi forma di potere. Per essersi opposto al regime zarista, Dostoevskij fu trascinato davanti al plotone d’esecuzione e solo il magniloquente gesto di una grazia arrivata all’ultimissimo secondo lo salvò. Un grande poeta come Mandel’štam  scrisse un epigramma coraggioso in cui denunciava la brutalità di Stalin ed ebbe per compenso la deportazione nei gulag siberiani e la morte. Mandel’štam amava Ariosto e scrisse uno saggio illuminante su Dante. Un altro che amava e studiava Dante fu il  teorico della letteratura Michail Bachtin,  che così scrisse del russo che ha avuto un corso cancellato a Milano: “Ma nel mondo di Dostoevskij tutto e tutti debbono conoscersi l’un l’altro e sapere l’uno dell’altro, debbono incontrarsi, debbono entrare in contatto, incontrarsi faccia a faccia e parlare l’uno con l’altro. Tutti debbono riflettersi e illuminarsi reciprocamente attraverso il dialogo. Perciò tutto ciò che è separato e lontano deve essere condotto in un solo “punto” spaziale e temporale.”(M. Bachtin, Dostoevskij. Poetica e stilistica. Einaudi 1963).

Quella espressa nelle opere di Dostoevskij  è la comprensione delle più profonde pulsioni dello spirito umano e della polifonia di voci di tutti gli esseri, dai poveri e esclusi a quelli ricchi  e potenti, che nondimeno soffrono per i tormenti della loro anima.  Occorre più che mai oggi, in tempo di guerra, che si possa trovare quel “punto” illuminato dove chi è separato possa essere ricondotto, per risolvere ogni controversia attraverso l’incontro e il dialogo.

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