NUMERO MATTO: TEMPO SCADUTO (DISCRIMINAZIONI E LEGGE ZAN) di Hansel Zacharya Scapinelli

fotografia di Alessandra Gasparini

Mi chiamo Hansel, Hansel Zacharya Scapinelli. Per gli amici sono Zach, al lavoro Hansel, per tanti altri un nome che non mi identifica più. E questo nonostante io sia da, diversi mesi, non importa quanti, sotto terapia ormonale, per rincorrere un corpo che rappresenti di più la mia identità.

Una terapia, che fino ad ora mi ha dato l’euforia dei primi peli di una barba timida sul viso, diversi toni di voce più bassi e parecchie domande scomode, al supermercato, durante l’orario di lavoro o in altri momenti casuali, dove sconosciuti si fermavano per chiedere “Sei un maschio o una femmina?”

Come se questo potesse farli dormire meglio la notte, come se questo potesse cambiare la possibile opinione che avevano di me.

Sono una femmina, ma sono un uomo.

Mi spiego meglio: Sono nato in un corpo con i cromosomi a doppia X, ma da sempre ho saputo di essere un ragazzo. Non l’ho scelto, non me lo

sento. Lo sono e basta. Sono un ragazzo, a tratti non binario e che non si è mai voluto inscatolare nel genere conforme dell’uomo così come il pensiero patriarcale e la società ce lo impone.

Sono qui per parlare di una legge, oggi. Perché nel mio piccolo e nei miei pochi anni di esistenza ho vissuto qualcosa che non voglio più che

i ragazzi della mia età, più grandi o le nuove generazioni, vedano più. E perché sono stanco che questo venga visto come la normalità.

E trovo assurdo che siano ragazzi come me, di vent’anni o poco più, a doversi battere per qualcosa che gli spetta, in teoria, di dovere: il rispetto e l’uguaglianza.

Sono qui, perché non c’è più tempo per pensarci. Dobbiamo per davvero, essere tutti uguali davanti alla legge.

 

Tempo scaduto.

Inizio a parlare con queste due parole forti, che sembrano la minaccia di una bomba che sta per esplodere. Ed è forse un po’ così che mi sento, con una sensazione in petto che scoppia e che mi spinge a scrivere parole che vorrei gridare, perché dopo aver aspettato in silenzio, è finita anche la pazienza.

Sono stato chiamato in quasi tutti i modi che nei film di adolescenti e nelle serie poliziesche gridano alle spalle, scrivono con le bombolette sulle facciate degli armadietti o nei post-it che ti attaccano alle spalle. Lesbica e ricchi*ne sono solo il meglio, anche perché non li ho mai visti come reali insulti. A scuola facevano male quando ti mettevano da parte per questo, per strada faceva male girare con la testa bassa e le vene dei polsi che vibravano di collera mentre li sentivo indicare, urlare. Ha fatto male quando un amico mi ha chiamato e mi ha detto che la mia ragazza di allora era stata picchiata perché aveva cercato di difenderlo da due ragazzi che lo chiamavano fro*io, dicendogli che “quelli come lui”, lì, non li volevano, che li avrebbero ammazzati. Ha fatto male nel precedente posto di lavoro dove stavo, regolare e con un contratto, mi hanno detto “ti trasferiamo in un altra posizione” e mi ritrovai senza più il contatto umano che avevo prima, venendo a scoprire mesi dopo che era perché ero “troppo lesbica per piacere ai clienti”.

Ha fatto male anche se crescendo ho imparato a rialzare la testa, quando giravo mano nella mano con la mia compagna, e ci hanno urlato “lesbiche”. Non era un insulto. Ma lei ha avuto paura. E ha fatto male. Fa male ancora adesso, a cinque mesi di terapia ormonale per raggiungere la felicità, con una voce in transizione e i primi peli sul volto, nascondere ancora quel nome che mi appartiene, quel genere che sento mio. Perché questo, tutto questo, mi ha fatto vivere una vita per metà. A dubitare costantemente di me stesso, della realtà che mi rappresenta. Perché avevo paura a mettere piede fuori di casa, e faceva male nascondere la testa per paura che quelle parole diventassero violenze fisiche. Quelle minacce si facessero vere. Mi è sembrato di vedere una luce, in fondo a questo tunnel. Un tunnel fatto di scelte che sono partite da cose che non avevo scelto. Perché non ho scelto io la mia sessualità, la mia identità di genere o altre cose che mi rappresentassero. Ho solo scelto di vivere me stesso al cento per cento.

Ed ho visto questa luce, che si chiamava DDL Zan. Mi è parso di avere un sussulto al cuore, ma immaginavo che la lotta per ottenerlo sarebbe stata dura come t il resto per cui ho combattuto. “L’omofobia non esiste”, “Non meritate di essere privilegiati”, “Non siete speciali”.

E forse è vero che non siamo speciali e non meritiamo di essere privilegiati. Ma meritiamo di essere trattati come umani. E, sorpresa delle sorprese, l’omofobia esiste. La bifobia esiste. La transfobia esiste. Io le ho viste, faccia a faccia. E hanno fatto male. Fanno ancora male.

Ho sentito anche dire “Se volete una legge contro l’omofobia, noi ne vogliamo una contro l’eterofobia”. Sapete cosa mi è venuto in mente, a sentire questo? Quando c’è un bambino con un gelato in mano, che cammina per strada, e un suo coetaneo va dalla mamma che lo ha accompagnato al parco, le tira il bordo del giacchetto, iniziandosi a lamentare perché lo vuole anche lui. Anche se non ci stava pensando. Anche se non ha fame.

Voi non vi siete svegliati la mattina, con il pensiero di lottare per i vostri diritti. Perché? Perché non ne avete mai avuto bisogno. Vi stare comportando da bambini viziati che vogliono qualcosa solo perché vedono che gli altri lo richiedono in ginocchio, e voi in ginocchio non volete mettervi, quindi aspettate che facciano tutto il lavoro loro e poi pretendete un “anche io”.

Volete che vi faccia un’altra sorpresa? DDL Zan vi proteggerà, in caso di eterofobia. Se io, fuori di testa, domani uscissi per strada, dicendovi una di quelle frasi che (guarda a caso, proprio voi etero) mi avete detto, rivolta a voi (invento sul momento? Etero di m*rda) tirandovi un pugno in faccia, si arriverebbe la legge Zan. Perché? Perché protegge anche le discriminazioni che hanno come natura l’orientamento sessuale. E, sorpresa, l’eterosessualità è un orientamento sessuale. Non lo sapevate? Basta leggerla correttamente.

Vi ho fatto un favore a riassumervi la parte che vi interessava, con un esempio pratico. Niente di meglio, dico bene? Quindi, ora che avete ciò che tanto desideravate, senza aver lottato con i denti e le unghie ed aver sputato sangue come abbiamo fatto noi per anni e noi dobbiamo farcelo andare bene, andate a votare. Era quello che volevate, ora non sarete discriminati nemmeno voi.

Come? Non vi hanno mai discriminato in quanto eterosessuali? Ma dai, non mi dire. Forse è per questo che non avete mai avuto bisogno di una legge specifica.

Adesso, per un attimo, mettiamo da parte questa xenofobia interiorizzata e pensiamo anche a chi ha bisogno di essere tutelato perché se esce di

casa, rischia di venire scassato di botte nel migliore dei casi. E no, tranquilli, potrete continuare a dire che gli omosessuali non meritano le adozioni, che la famiglia è quella tradizionale (tradizionale che significa poi?) e che Dio ha creato uomo e donna. Non finirete in galera per questo. Ma la violenza non può rimanere impunita e noi non vogliamo più finire nel dimenticatoio. Il tempo è scaduto.

Noi restiamo, esistiamo, resistiamo.

E meritiamo una vita senza paura, come la vostra.

O tutti o nessuno.

Hansel Zacharya Scapinelli, attivista per il gruppo T.a(MO) di Modena e Rete Nazionale Trans* di Arcigay

Please follow and like us: