INTERVISTA A FEDERICO SANGUINETI SULLE ‘PAROLACCE’ NELLA DIVINA COMMEDIA, a cura di Martina Barbieri

Foto di Gordon Johnson da pixabay

Le chiacchierate non sono tutte uguali, alcune mi emozionano più di altre e mi fanno venire la pelle d’oca. Specie se è il mio professore a farmi scorgere con la sua enorme semplicità, che è la forma della vera grandezza, nuove prospettive di storie letterarie. Io resto incantata ed incapace di dire qualsiasi cosa. Mi piace ascoltarlo e mentre penso che la docenza sia un mestiere a tempo pieno che non si esaurisce mai, vorrei registrare nella mia mente ogni sua singola parola…
Perché anche quelle non sono tutte uguali, ve ne sono di belle e di brutte, di buone e di cattive, di parole e di parolacce…
Ci provo ad introdurre la sua nuova piccola grande perla Le parolacce di Dante Alighieri edita nel 2021 da Tempesta Editore, con le mani che mi tremano ed il cuore che mi batte forte: agnosco veteris vestigia flammae! Avrebbe detto Virgilio o per dirla con parole dantesche conosco i segni de l’antica fiamma: la mia (direi viscerale, ma lui mi ha fatto riflettere attraverso Carla Lonzi che viscerale è termine abusato, come ovvio) passione per la letteratura italiana che mi ha fatto conoscere il professore Federico Sanguineti (ben noto per la sua edizione critica della Commedia del 2001) una decina di anni fa all’Università degli Studi di Salerno, dov’è ordinario in Filologia italiana e in Filologia dantesca. Gli lascio timidamente la parola e mi meraviglio ancora nel non aver saputo prevedere prima, pur conoscendolo, che lui da un’intervista mediocre avrebbe ricostruito con grande perizia una storia letteraria!

1) In occasione del settimo Centenario della morte (1321-2021) di un Dante “antologicamente fatto a pezzi” dagli stereotipi scolastici della classe dominante, lei ce ne restituisce le preziosissime parolacce, titolo molto accattivante, ma a cosa si riferisce di preciso? Se bene ho inteso, non si tratta soltanto dell’ontoso metro dell’Inferno, di derivazione biblica, ma anche e soprattutto di lettura borghese del poema, di censura ecclesiastica e di visione misogina della letteratura italiana…

Diverse cose: da un lato l’idea di questo libro mi fu proposta da un editore che, poi, non ha voluto pubblicarlo, in realtà, per una situazione interna alla casa editrice; così mi sono trovato questo libretto scritto anche se non è un’idea che nasce da me. Dopo un momento di titubanza, l’anno scorso, quando mi fu proposto, pensai di accettare questo suggerimento pensando ad una serie di cose: per esempio, che avrei potuto divertirmi a scriverlo in questo periodo di chiusura in cui ognuno è confinato in casa, come l’estate scorsa, e lo consegnai anche prima del previsto. Dato che era un editore amico, che conoscevo da anni non ho neanche pensato di fare un contratto perché non volevo vincolarmi e poi essere costretto a scrivere una cosa che non sapevo se riuscivo a scrivere… però alla fine sono contento che sia uscito da un editore molto più coraggioso, anche perché ormai con la possibilità di vendere online viviamo in un’epoca in cui anche i libri sono divenuti obsoleti come i manoscritti all’epoca dell’invenzione della stampa… questo è il punto da cui partire… allora ad accettare questa sfida mi sono divertito molto e la sfida mi piace, mi sono già arrivati i rendiconti del primo mese di vendite – non dico che sono diventato ricco, ma per la prima volta guadagno qualcosa in vita mia da un libro! – Quanto alla parola “parolacce” mi piace sottolineare che il padre della nostra lingua diceva parolacce, scriveva parolacce nella sua poesia, ma la parola “parolacce” dispregiativo di parola non la usa mai perché non esisteva ai suoi tempi e non è attestata prima del ’400. La prima attestazione scritta sembra essere nel De iciarchia di Leon Battista Alberti. Anche quest’aspetto mi ha molto divertito perché è in un contesto tutto sommato abbastanza dantesco di riferimenti che la parola compare. Io mi diverto, faccio queste cose solo per divertimento: ho avuto questa fortuna di fare nella vita sempre cose che mi piacciono, ma questo non vuol dire che immediatamente ho fatto le cose che mi piacciono. Anche un ostacolo, una difficoltà, una malattia, li ho sempre visti come un’occasione per divertirsi. Mi divertivo moltissimo quando ero ricoverato in ospedale in terapia intensiva e rimanevano sconcertati coloro che mi venivano a trovare.

2) Il titolo della sua opera mi ha fatto riflettere molto sul termine parolaccia, peggiorativo di parola e, soprattutto, sull’uso che ne facciamo oggi, riferendoci, spesso, a qualcosa di “volgare” in senso dispregiativo, dimenticando che anche l’aggettivo volgare da vulgus, popolo, affonda le sue radici nel disprezzo sociale verso ciò che linguisticamente non è regolato da studio o da norma. La sua opera ci restituisce, invece, la paradossale realtà di considerare erroneamente “giusto” tutto ciò che sia oggetto di studio e, dunque, viene da chiedersi cosa siano davvero le parolacce: quelle che diciamo o che usiamo per sostituire le censurabili originali? E cos’è la censura? Un atto decoroso o indecoroso?

Ci sono diverse forme di censure: censure che uno subisce, autocensure, censure che nascono da tabù di cui uno neanche si rende conto di subire o di compiere. Per esempio penso che la cosa più importante sia porsi delle domande; mi è capitato oggi durante una lezione: gli studenti continuavano a rispondermi dicendo “certo, è ovvio, ovviamente” al che ho replicato “non c’è nulla di ovvio”. Nel caso delle parolacce dantesche, parole come “merda” o “puttana” da dove derivano? Dalla Bibbia, dall’Antico e dal Nuovo Testamento. «Non possiamo non dirci cristiani» diceva Benedetto Croce, ma quanti dicono di essere cristiani e, poi, saranno lontanissimi da Cristo? Parafrasando dei versi del Paradiso (XIX) di Dante, ma quanti dicono di essere cristiani e non hanno mai letto la Bibbia, direi io adesso, e non sanno che nella Bibbia ci sono più “puttane” e “merda” che in qualsiasi altro libro. Sono parole che ritornano continuamente. Questo è un punto abbastanza curioso. Naturalmente tutto questo se vogliamo già lo si sapeva, perché basta leggere Auerbach sul «sermo humilis» di Dante e sull’importanza del linguaggio evangelico e biblico in relazione a un registro basso in Dante. Non ho voluto però fare mai nessun riferimento in questo libro a nessuno studioso; ho messo da parte l’enorme bibliografia che esiste su Dante: fra l’altro mi sono occupato per anni di indicazioni bibliografiche dantesche, ma ho preferito fare così. Più di chiunque altro mi rendo conto della quantità di cose che è stata scritta e si scrive su Dante, però ho voluto metter da parte tutto questo per ridire tutto in maniera semplice, senza la mediazione di ciò che sembra ovvio, senza questa ricerca accademica; ho semplicemente pensato ai grandi testi della tradizione occidentale, la Bibbia, Dante e Marx, e in quest’ottica vengono fuori delle cose curiose. Marx in una lettera ad Engels dice che si deve occupare della merda economica. La lettera è ben nota, però inserita in questo contesto serve a ricordarci che è un luogo comune senza nessun fondamento l’idea che per Marx l’economia sia più importante di altre cose: è la cosa meno importante per lui! È importante perché oggettivamente è alla base di tutto il resto, ma non vuol dire che sia la cosa più importante. Il fatto che noi camminiamo sui piedi e non come gli animali a quattro zampe, non vuol dire che i piedi siano la parte più importante del nostro corpo, probabilmente lo sono anche, perché se dobbiamo andare su una sedia a rotelle è un bel problema (a me è capitato per lungo periodo), però è chiaro che non stiamo a guardarci i piedi dalla mattina alla sera, o a curare i piedi come se fosse la principale occupazione umana. Certo, mi sono posto anche un po’ ludicamente a fare il filologo in questo libro, il problema di etichettare come parolacce anche qualcosa che il poeta ha inteso come parolaccia solo in senso metaforico, come una parola degradata rispetto all’uso, anche nella storia di un copista, anche un restauro inammissibile o azzardato di un filologo diventa o può essere considerato una parolaccia rispetto alla parola autentica o presunta tale dell’autore. Il mio modo di intendere la filologia è sempre stato un modo molto naturale, non professionale, un amore per la parola, ma non lo definirei “viscerale” dopo aver letto Taci, anzi parla di Carla Lonzi, il più bel libro di tutto il Novecento italiano e il più importante del femminismo del nostro paese, un diario sui generis in cui l’autrice racconta di sé tutto, ma non è il romanzo di Svevo, qualcosa di simile a questo lo si può trovare soltanto nell’Ultimo viaggio di Enrico Filippini, un testo brevissimo di poche pagine.

3) La sua mi sembra a tutti i livelli un’opera filologica, parolaccia per parolaccia. Di qui le chiedo da filologo, uomo e poeta, che rapporto ha con le parolacce nella sua vita e quanto pensa che siano importanti nell’espressione dell’intensità di un pensiero? E che rapporto ha con la censura delle parole nei contesti formali? Quanto la formazione filologica incide nell’accurata selezione delle parole nella sua vita quotidiana?

Si può pensare benissimo senza fare uso di parolacce che sono l’escremento delle parole, come si dice all’interno di un libro di Rada Iveković intitolato La balcanizzazione della ragione, nel tentativo di spiegare il crollo della Jugoslavia, poiché personalmente, penso che l’Italia sia destinata ad una balcanizzazione e che farà la fine dell’ex Jugoslavia, in una forma diversa, ovviamente, ma l’ondata della caduta dei Paesi dell’Est ha travolto immediatamente la Jugoslavia (i conflitti dell’ex Jugoslavia sono stati finanziati dal capitale tedesco, ha spiegato decenni fa l’economista Osea Jaffe, e appena il capitale tedesco avrà interesse a finanziare i conflitti dell’ex Italia…). Già oggi l’Italia è una ex Italia, un «bordello» direbbe Dante, più vicina a un’espressione geografica come ai tempi del Congresso di Vienna del 1815, che a una nazione culturalmente coesa: a parte la retorica delle fiamme tricolore, ogni regione va per conto suo, perfino sul Covid-19! Non esiste più un metro nazionale di valutazione, quindi, non esiste più l’Italia, se non nella squadra di calcio dell’Italia (composta però da giocatori stranieri).
Se lei apre i social trova un’invasione di parolacce, ormai è tutto normale, nel caso di Dante, invece, sono solo delle citazioni, o dalla Bibbia o comunque citazioni, cita le parolacce, ma non le esprime mai, le usa per esprimere il punto di vista che lui rifiuta. La parolaccia è la premessa di un atto di violenza, violenza verbale che poi diventa violenza fisica. Finché si violenta la lingua sono errori di grammatica e lo si possono correggere tranquillamente; ma quando, invece, la violenza diventa fisica, lì il problema è più serio. Non sono poeta, sono solo un versificatore che scrive in endecasillabi sui social per un sogno infantile: quando ero bambino mi chiedevo «ma perché le persone non parlano, scrivono e comunicano in poesia?» se la poesia è così bella come ci dicono a scuola, «ma perché le persone non parlano, scrivono e comunicano in poesia?». Questo era quello che mi interessava, infatti, quando lessi la polemica in prosa di mio padre con Pasolini in pseudo-terzine dantesche di endecasillabi gli dissi che era la cosa più bella che aveva scritto. Quando è uscito Facebook per curiosità ho guardato cosa fosse e mi è venuto automatico realizzare il mio sogno infantile, anche perché si presta benissimo, visto che occorrono pensieri brevi, lo spazio è poco, più è breve il messaggio più diventa efficace, e allora un endecasillabo, due, tre…. Ma non mi metto a scrivere delle poesie e le pubblico su Facebook: questa è un’altra cosa, molto diffusa, ma non mi interessa. È vero che c’è stato un periodo in cui facevo autoanalisi su Facebook, ma lo facevo in forma poetica e in questo caso prendevo il Canzoniere di Petrarca, prendevo le parole in rima, lo schema rigido del sonetto e conservando le parole in rima riempivo lo spazio che restava tranne le ultime parole del verso; le riempivo come mi veniva, in parresia, come un libero parlare.

4) Dal suo corso di Filologia italiana dei tempi universitari, avevo già avuto modo di avere un piccolo assaggio del genocidio culturale apportato dalla visione misogina della letteratura (non smetterò di ringraziarla per avermi fatto conoscere la Contessa di Dia e Cristina da Pizzano) ma non avevo mai riflettuto sufficientemente su quanto la portata della poetica dantesca fosse rivoluzionaria rispetto a quella di Guinizzelli, su come un angelo potesse essere equiparato ad un sembiante d’angelo solo per misoginia e mancanza di nomi angelici al femminile nella Bibbia. Come si potrebbe affrontare un simile tema in modo efficace a scuola? E in che modo far rivivere il poema dantesco in forma autentica senza censurarlo o mortificarlo, senza affrontare la complessità filologica di un’edizione critica presso un pubblico filologicamente digiuno e dotato di libri di testo pieni di censure e parolacce nel senso più dispregiativo del termine nella storia della trasmissione testuale?

La filologia si può fare sempre. Quando cominciai a ricollazionare i manoscritti dell’Edizione Petrocchi per trovare errori congiuntivi, errori separativi e ridisegnare uno schema dell’antica vulgata mi mettevo a lavorare al lungomare di Salerno o in costiera. Mi mettevo in un bar e prendevo granite di caffè con panna e ogni tanto un cameriere si avvicinava e mi diceva “Dottò, ma che fate voi con questi libri qui?” e io spiegavo quello che facevo, se mi sembrava comprensibile per il cameriere e lui appariva interessato, allora mi sembrava che quello che facevo stava funzionando. Non ho mai avuto l’ambizione o pensato di farmi capire dai colleghi, anzi… Per quanto riguarda lo Stilnovo una cosa da dire è che a differenza della letteratura provenzale i siciliani hanno un atteggiamento diverso. Lo spiega bene Dante. I provenzali sono degli scrittori aristocratici, di piccola nobiltà, talvolta, e scrivono per un pubblico aristocratico che non esclude le donne. Ci sono trovatrici e trovatori. Le prime sono esplicite, pongono il problema della prova che un uomo deve dare. In Sicilia succede una cosa completamente diversa, da un lato c’è l’incrocio di poesia araba fortemente erotica per tradizione, un eros orientale raffinatissimo, dall’altro un imperatore germanico molto colto e aperto ad ogni forma di sapere, e forme intellettuali legate all’attività notarile (il Notaro per definizione, Giacomo da Lentini). Il notaio è un intellettuale borghese che opera in Sicilia all’interno di una corte aristocratica, ma recupera delle forme raffinatissime del mondo arabo. A Palermo ancora oggi le vie sono indicate in arabo, oltre che in italiano. I poeti siciliani arrivano ad un certo punto a Firenze accolti e tradotti in toscano da notai. Dante si trova come rappresentante di una piccola nobiltà decaduta a tentare la sua carriera politica e poetica a fianco di magnati come Cavalcanti, a quell’epoca il più importante. Con gli ordinamenti di giustizia i grandi proprietari vedono distrutte le loro proprietà. La borghesia sta prendendo il potere. Il dolce Stilnovo non è mai esistito, è un’invenzione della storiografia borghese ed è un errore di copisti della Commedia: ormai su questo punto sono perfino d’accordo molti dei miei colleghi in filologia. Non è un’espressione dantesca, anche sintatticamente: aggettivo + sostantivo + aggettivo non è nell’usus scribendi dantesco. Non c’è unanimità dei testimoni su questo punto.
Il gusto borghese si afferma a Firenze in ambito notarile e a Bologna dove i notai riempiono gli spazi con i versi dei poeti (I memoriali bolognesi). A Firenze le banche e, quindi, le borghesie vincono, e Dante ha il presentimento che non ci sia più spazio per lui, sa che le cose andranno male e Beatrice muore per poter operare nell’aldilà in maniera benefica. Il grande realismo di Cavalcanti per il quale non c’è vita dopo la morte è mettere in versi la fine di una classe sociale senza retorica ed illusioni e con una lucidità spaventosa. La grandezza di Dante è, invece, nella ricerca di una prospettiva al di là di questa distruzione.
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5) In che modo si potrebbe secondo lei ovviare nelle scuole come nelle università al perpetuarsi di una trasmissione di sapere maschile borghesemente dominante (oltre ad evidenziare quanto possa essere pericolosa la celebrazione del modello maschilista superuomo Farinata/Ulisse?)

Mi sono messo in testa di scrivere una storia della letteratura. Ho cominciato qualche settimana fa per un piccolo giornale salernitano ”Le Cronache”, è un appuntamento settimanale. Ringrazio il cielo perché mi è data la possibilità di fare questo compitino ogni domenica, altrimenti non mi metterei mai a scrivere un libro accademico; invece, questo impegno così lo trovo più stimolante. Vedrò come andrà a finire, è un po’ presto per dire se sono in grado di portarlo a termine.. Vorrei guardare alla letteratura italiana in un’ottica aperta ad un pubblico di studenti cinesi, tenendo presente come i cinesi guardano alla nostra letteratura. Ci sono almeno un paio di storie della letteratura italiana scritte da cinesi: penso al professor Wang Jun e alla professoressa Shen Emei. Il cinese per ragioni economiche sarà la lingua del futuro.
Inoltre esiste un sito (A Celebration of Women Writers), dove ci sono tutte le scrittrici di tutto il mondo: non si può più negare che esistano solo perché non sono riportate nei manuali scolastici! Per chi insegna su Internet c’è tutto e chiunque con un cellulare lo trova. A scuola bisognerebbe far riflettere su come Francesca da Rimini sia baciata da Paolo in un contesto ormai borghese, dove una donna che prende l’iniziativa è considerata una puttana, mentre Ginevra può baciare Lancillotto (che non sa prendere l’iniziativa) in una società aristocratica, senza essere considerata per questo una prostituta.

6) Lei nel libro ha paragonato l’Inferno alla società borghese, il Purgatorio alla società in transizione e il Paradiso ad una società comunista, in cui, finalmente, il femminile non è più subordinato al maschile, ma prevale con Beatrice che parla più di chiunque altro e ha qualcosa da insegnare in ogni campo del sapere e, soprattutto, corregge le parolacce di Dante. A suo avviso, si è mai verificata nella storia dell’uomo (al di là del sogno letterario dantesco) una fase assimilabile alla società comunista del paradiso? Ora, nel 2021, siamo ancora parte integrante della infernale società borghese?

Tante volte, ogni giorno si realizza il comunismo. Tutti i giorni a tavola in qualsiasi famiglia del mondo se c’è qualcuno che distribuisce da mangiare a tavola fa un atto comunista: dà a ciascuno secondo i suoi bisogni, secondo la raccomandazione degli Atti degli Apostoli. Abbiamo poi diversi esempi illustri nella storia come la rivolta dei Ciompi nel 1378, la Comune di Parigi nel 1871 o la rivoluzione sovietica nel 1917. Oggi ogni volta che apriamo Internet possiamo prendere quello che vogliamo, tranne dove c’è la proprietà privata o il copyright. Ora siamo nel trionfo della globalizzazione capitalistica. C’è anche l’avvento della DAD che è una rivoluzione copernicana. Molti hanno nostalgia della didattica in presenza per il «contatto umano», ma il conte Giacomo Leopardi non ha sofferto per mancanza di contatto umano (alla madre non si rivolgeva di certo col tu), ma per le ragioni chiarite da Franco Buffoni nel suo libro recente: Silvia è un anagramma. Leopardi era gay come cittadino dello Stato della Chiesa, dove Gregorio XVI promulga il Regolamento sui delitti e sulle pene, che all’articolo 178 prevede la «galera perpetua» per «i colpevoli di delitto consumato contro natura». Quante volte viene frainteso il suo malessere nelle scuole (era gobbo, era brutto, era infelice…) e non se ne spiega la fonte reale? Eppure è ben noto: Leopardi è perdutamente innamorato di Ranieri, da tempo sono state pubblicate le sue lettere a quest’ultimo: «Addio con mille baci. Io non ho e non avrò più altro pensiero che te», così il 6 febbraio 1833. La DAD invece consente, come nel Paradiso di Dante, una circolarità del sapere, dove nessuno parla ex cathedra: come nel cielo del sole, i sapienti sono disposti circolarmente. La verità non nasce dal pulpito, ma da una ricerca collettiva del sapere. Da una curiosità condivisa. E dalla sorpresa di trovare così, poniamo, san Tommaso accanto a Sigieri di Brabante. L’antiaverroista con l’averroista.

Si ringrazia per l’attenzione il professore Sanguineti, in attesa di leggere per esteso la sua storia della letteratura italiana su “Le Cronache” e con l’auspicio che la sua nuova opera possa servire ad ovviare nelle scuole la trasmissione di un sapere maschile borghesemente dominante, oltre che di un Dante antologicamente fatto a pezzi dagli stereotipi scolastici.

foto di Gerardo Grimaldi, tutti i diritti riservati

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Federico Sanguineti è ordinario di Filologia Italiana e Filologia Dantesca presso l’Università degli Studi di Salerno, è autore di studi sulla tradizione manoscritta del Poema dantesco e di La storia letteraria in poche righe (Genova 2018). Ha curato fra l’altro un’edizione di Inferno. Edizione critica alla luce del più antico codice di sicura fiorentinità. Laurenziano Pluteo. XL 12 (Genova 2020)

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Martina Barbieri è nata a Benevento il 15-03-1991. Dopo la maturità classica al Liceo P. Giannone di Benevento nel 2010, si è laureata in Lettere Classiche (2014) e in Filologia e Storia dell’Antichità all’Università degli Studi di Salerno nel 2016. Nel 2018 ha conseguito un master di II livello in Drammaturgia e Cinematografia presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, cui è seguita nel 2019 l’iscrizione all’albo dell’Ordine dei Giornalisti della Campania.
Appassionata di teatro e di poesia, vive in Emilia Romagna, nel modenese, dove da quattro anni lavora come docente di discipline letterarie e latino nella scuola secondaria di secondo grado. Attualmente, risiede a Carpi (MO) ed insegna Italiano e Storia presso l’I.P.S.I.A. Giancarlo Vallauri.

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