GLI ALBERI LIBERI DI ALEXANDER SHURBANOV di Paolo Gera

fotografie di Alessandra Gasparini

Alexander Shurbanov, Dendrarium, a cura di Valentina Meloni, traduzioni dall’inglese di Valentina Meloni e Francesco Tomada, Musicaos editore, Neviano 2021.

Nell’opera “Dendrarium” di Alexander Shurbanov, io ho ritrovato il corrispettivo poetico del pensiero scientifico di Stefano Mancuso e della sua appassionante divulgazione:
“Proprio come accade nel bosco, in cui ogni albero è legato a tutti gli altri da una rete sotterranea di radici che li unisce formando un super-organismo, così le piante costituiscono la nervatura, la mappa (o pianta) sulla base della quale è costruito il mondo in cui viviamo. Non vedere questa pianta, o ancora peggio ignorarla, credendo di esserci ormai posti al di sopra della natura, è uno dei pericoli più gravi per la sopravvivenza della nostra specie.”
(Stefano Mancuso, La pianta del mondo, p.13, Editori Laterza 2020).
Shurbanov ha questa stessa attitudine nello scorgere la vitale mutualità fra piante di diversa specie e fra il mondo verde e quello degli umani. Quella che in Mancuso è una tensione didattica, legata a precise nozioni naturalistiche, è nel poeta bulgaro un afflato emotivo legato alle regole di una rarefatta e limpida scrittura poetica.
Leggo “Dendrarium” su una panchina sotto gli ulivi e i profumati fichi di Genova, oppure stendo le mie gambe sulle chine erbose degli argini padani, sotto i fusti alti e ben serrati dei pioppi. Come sono lontane le betulle bulgare di Shurbanov! Eppure, attraverso le sue descrizioni, posso sollevarmi dalla mia pigra lettura e slanciarmi a toccarne la corteccia argentata. E poi i suoi versi ritornano in questo mio presente e ridefiniscono, nella magica e semplice prossimità della poesia, la viva stagione che mi circonda:

Che meraviglioso, misterioso mondo!
La neve dei pioppi danza
nell’aria ebbra di tinte solari.
È primavera!
(PRIMAVERA, vv.1-4, p.13)

Ma immediatamente l’ebbrezza dell’aria – siccome io come Shurbanov ho questo vizio cocciuto di rimuginare sul destino dei più deboli – , si concentra tutta in un raggio solare di coscienza.

gli alti pioppi solitari
e solamente loro
osano continuare a schierarsi
con ciò che è condannato.
(PIOPPI SOLITARI, vv.12-15, p.35)

E questo insegnamento che Shurbanov mi dà, di guardare agli alberi e di dedicarci a loro con la cura di chi dovesse preoccuparsi di persone fisiche, mi fa procedere verso l’idea da lui sostenuta in “I loro nomi sono pochi”:

Quest’albero cresce sulla montagna,
e quell’albero cresce sulla strada.
Su quest’albero si appollaia un falco,
e in quello canta un rigogolo.
Con quest’albero verrà realizzato un flauto,
e con quello un cannone da guerriglia.
Quest’albero sarà colpito da un fulmine
e quell’albero sarà tagliato da un’ascia.
Quest’albero brucerà nel focolare
e quell’albero sosterrà il tetto.
Molti sono gli alberi nella foresta,
solo i loro nomi sono pochi.
(I LORO NOMI SONO POCHI, p.43)

Così, come per gli alberi, penso alle moltitudini degli umani ammassati nelle giungle metropolitane o nei
piccoli centri di provincia, alle loro diverse attività e ai loro inevitabili destini e penso che anche per loro
vale lo stesso principio: molti sono gli umani nelle città, solo i loro nomi sono pochi.
Le specie di piante sulla Terra sono 60.065. Gli stati/geografie nel mondo sono 208.
La cura, la preoccupazione per la sopravvivenza e il benessere altrui, è uno dei temi principali che sorregge
le pagine di questo semplice e straordinario libro. La dialettica sostenuta è quella proposta per la prima
volta dal Preromanticismo, se sia cioè preferibile la natura allo stato selvaggio, suscitatrice di quel
sentimento che Edmund Burke definì ‘sublime’ (Ricerca filosofica sulla origine delle idee del sublime e
del bello, 1756), oppure addomesticata nelle tenute dei ricchi possidenti o meno pretenziosamente nei
circoscritti giardini urbani. Per Shurbanov, anche quando recintati tra i palazzi di cemento, gli alberi non
dimenticano la loro memoria ancestrale. Ancora la metafora si esercita attraverso parole che estendono
il confronto a certi gruppi umani, estranei, guardati con sospetto, accettati con difficoltà: gli alberi sono
clandestini.

Non riuscendo
a conquistarla assalendola,
ora la foresta
tranquillamente
entra in città in punta di piedi.
Lungo ogni strada e viale gli alberi,
si stringono in silenzio,
appoggiandosi a muri di pietra
e accerchiando tacitamente
il cuore della città
nel loro inarrestabile assedio.
(CLANDESTINI DI FORESTA IN CITTÀ, vv.1-12, p.53)

Sembrano così inamovibili, gli alberi, eppure sono sempre loro a visitare gli uomini, ma quando si
pongono fra le nostre mani, ecco che occorre per l’appunto prendersene cura. E se qualcuno di loro ne
può fare a meno, un altro accanto ha bisogno di assidua attenzione. Si tratta in fondo di una specie di
pratica politica, che combatte monopoli e imperialismo, per proteggere le zone più deboli e ancora non
capaci di sostenersi da sole.

IL CESPUGLIO ORNAMENTALE che piantai anni fa non ha più bisogno delle mie cure. Ho anche la sensazione
di infastidirlo e di provocare il suo risentimento con le mie incessanti potature e sfrondamenti. Ma se smettessi di farlo, il cespuglio si espanderebbe in tutto il cortile e le piante rimanenti ne sarebbero soffocate. Sono loro che hanno bisogno della mia cura e della mia protezione adesso. Fino a quando non saranno diventate più forti e inizieranno a propagarsi.
(p.107)

Le poesie di Alexander Shurbanov non danno nulla per scontato riguardo agli alberi e brechtianamente
li pongono all’interno di una concezione etica che sorprende e fa riflettere. La naturalità delle piante e
degli alberi, nella maniera sottile, capillare, aerea che è loro propria, si contrappone ai concetti dominanti
del capitalismo e al potere tout court, nel suo tentacolare sistema normativo, massiccio, incatenante. Gli
alberi, anche quando non ricevono il crisma rivoluzionario da parte degli uomini, sono sempre e
comunque ‘alberi della libertà’:

L’albero
dispone del suo lotto di terreno
senza un titolo di proprietà.
(LA CORONA, vv.1-3, p.21)

In “A UN PROPRIETARIO D’ALBERO” Shurbanov si rivolge a chi vuole rinchiudere con una
dichiarazione di possesso qualcosa che per vocazione naturale oltrepassa i confinamenti, le ‘enclosure’ e
offre spontaneamente e generosamente i suoi frutti:

Non ostacolare l’albero.
So che il recinto è tuo.
Ma non l’albero.
E allora
come puoi averlo cresciuto!
È cresciuto da solo.
Da solo allunga
oltre la strada pubblica
verso fortunati camminatori
i suoi capricciosi, gioiosi rami.
(vv.9-18, p.101)

Ne “LA BANCA ESPLOSA” la metafora bella e sovversiva delle arance mature che “sembrano pepite
d’oro/sparpagliate da una banca fatta esplodere”(vv.4-5, p.73), si arricchisce di un senso morale nei versi
successivi che descrivono proprio sotto l’albero così florido, l’avarizia dei passanti di fronte allo spettacolo
della povertà. La natura elargisce sempre ricchezza, gli umani spesso rifiutano di lasciarne andare via
anche le briciole.

Al di sotto,
accovacciata sul marciapiede,
una mendicante in lacrime
cerca di scroccare
un centesimo o due
dai passanti di buon cuore.
(vv.6-10)

In “DIVERSE PROSPETTIVE SUI CILIEGI”, l’autore anziano si lascia andare all’ebbrezza clandestina
di cingere un ciliegio e di baciare i suoi frutti, sino a sporcarsene le labbra, come se si trattasse di un dolce
liquido d’amore. Il gesto in tutta la sua sensualità viene mostrato sfacciatamente ad aridi colleghi che
hanno dimenticato i gesti impagabili dell’appropriazione indebita e pagano le ciliegie per mangiarle:
uomini e frutti assoggettati alla legge del mercato e ai suoi riti tecnologici.

Adesso, con i segni del reato
ancora evidenti
sulle labbra e sulle dita,
devo sopportare pazientemente questa riunione,
di fronte ai volti avvizziti
dei miei colleghi,
che sono convinti che le ciliegie
vengano fabbricate nel minimarket
e possano essere identificate dal loro codice a barre(…)
(p.87, vv.8-17)

Le ciliegie vanno prese dall’albero, senza permesso, sono frutti anarchici e mentre si assapora la loro dolcezza bisognerebbe intonare “Le temps des cerises” o un’altra canzone di libertà. Il tempo dell’albero è opposto a quello del lavoro: è il tempo dell’ubriacatura di Baudelaire. “Pour ne pas sentir l’horrible fardeau du Temps qui brise vos épaules et vous penche vers la terre, il faut vous enivrer sans trêve”(1). O come ribadisce Shurbanov:

Lascia indietro il tic-
tac dell’orologio.
Lasciati il suo biasimo
dietro le spalle.
(L’ACERO DORATO, vv.16-19, p.123)

Ma la poesia di Shurbanov, anche nei componimenti, diciamo così, di riflessione civile, ha sempre un andamento leggero. La lezione dell’haiku è sempre presente e i tre versi canonici della composizione giapponese, si allargano senza forzatura, come i cerchi progressivi sempre più ampi di una piccola pietra tirata al centro dello stagno. Così nelle due poesie conseguenti:

Pergamene srotolate dal cielo,
ricoperte di splendidi geroglifici –
bianche betulle lungo la strada.
(UN HAIKU SCESO DAL BLU, vv.1-3, p.29)

L’albero si flette sull’acqua,
dove rami del suo riflesso
crescono intorno a lui
come una morsa di alghe.
Mani
protese,
non osano toccarsi l’una con l’altra.
Come animali ipnotizzati,
gli alberi ai due antipodi
si scrutano attentamente l’un l’altro.
E sebbene passassi così vicino
il fulgido plenilunio su di me,
non una foglia si mosse.
(RIFLESSI, p.31)

E in maniera variata, come se un giovane tronco flessibile si indurisse e gli apici più radi si compattassero in una una chioma di foglie, la poesia si trasforma in prosa e un albero più imponente si erge fra quelli più sottili, con le sue radici che salvano il mondo domestico e insieme a questo una civiltà intera:

HO AVUTO PIETÀ DELLA BETULLA. Non la vedevo da quasi un anno e ora ho notato quanto profondamente appare costretta e molestata.(…) Così presi un’ascia per mettere in ordine l’Universo. Ma il mio braccio rimase sospeso a mezz’aria. Perché vidi le radici sghembe del selvaggio stringere il pendio fatiscente come fasce di ferro. E improvvisamente capii: erano loro e nient’altro che sostenevano il mio cortile come le fondamenta di una casa. Sono state loro a impedirgli di scivolare giù per il burrone e scomparire per sempre – insieme alla recinzione, all’aiuola fiorita e alla mia cara dolce betulla.”
(p.33)

L’età dell’oro è atemporale. È l’ albero vicino a noi con il suo stabile ed enigmatico incanto, ci suggerisce Shurbanov. Ma l’età dell’oro è anche quella della poesia costante e mutevole, così che i versi di “Dendrarium” da una radice iniziale bulgara, sono fioriti nella trascrizione inglese dello stesso autore, per essere poi colti in italiano grazie alla preziosa traduzione di Valentina Meloni e Francesco Tomada. L’età dell’oro è quella delle generazioni della poesia. Così nella mia memoria i rami che si espandono e si toccano fra loro sono quelli dei cipressi di Bolgheri di Carducci, quelli del susino di Brecht e quelli più alti su cui si arrampicano i bambini stupiti per ammirare le immancabili stelle, ma “being but men, we walked into trees”(2), come scrive Dylan Thomas. E adesso tutti i rami della poesia del passato arrivano ad intrecciarsi con quelli della betulla, la betulla di Alexander Shurbanov, che manda “un saluto tremolante dall’altra parte della strada”(MATURAZIONE, v.14, p.113).

Paolo Gera

(1) Charles Baudelaire, Enivrez-vous!
(2) Dylan Thomas, Being but men

*

Alexander Shurbanov nato a Sofia (Bulgaria) nel 1941, è un poeta, traduttore, saggista, critico letterario e professore universitario, nonché dottore honoris causa nelle Università britanniche del Kent e del Surrey. È autore di sedici libri di poesia, tra le sue più recenti pubblicazioni Primosole (English and Bulgarian versions, Sofia, 2016), Paesaggio invernale con corvo (antologia in lingua macedone, Struga, 2016), Dendrarium (Sofia, 2017; versione inglese, 2019).

È il traduttore bulgaro dei Racconti di Canterbury di Geoffrey Chaucer, delle tragedie di Shakespeare, del Paradiso perduto di John Milton e della sua tragedia I nemici di Sansone, delle poesie di Dylan Thomas e di numerosi altri poeti anglofoni.

Nel 2020 sono state pubblicate in Bulgaria le sue traduzioni del Romeo e Giulietta di William Shakespeare e del Manfred di George Gordon Byron. Per oltre quarant’anni, Shurbanov ha insegnato Letteratura Inglese presso l’Università di Sofia e ha pubblicato numerosi libri di critica sia in patria che all’estero. È stato insignito della Medaglia d’Onore dell’Università di Sofia, del Premio Nazionale “Hristo G. Danov” per il suo contributo alla cultura.

 

 

 

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